Pagina:Opere varie (Manzoni).djvu/151

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appendice al capitolo terzo 145

terre, dice il Romagnosi. Questo però non è altro che un nuovo argomento, e il più forte, che non vide il placito, nè alcuno degli atti suddetti. Trovò nella Dissertazione che cita, quelle parole: controversiam cognoverunt agitatam; e non essendoci indicato l’oggetto di essa, ne suppose uno, quello che gli parve più probabile. È una supposizione anche la nostra, ma, diremo di nuovo, la più conveniente; giacchè come si potrebbe spiegare che avesse parlato così, se avesse letto il placito, e visto, per conseguenza necessaria, di cosa si trattava? Si trattava della giurisdizione spirituale sopra certe parrocchie e monasteri. «Diceva Luperziano, vescovo d’Arezzo: Questo chiese e questi monasteri, con ogni loro oratorio, appartennero, dalla loro fondazione, alla sede d’Arezzo: noi e i nostri antecessori ci abbiamo sempre fatte l’ordinazioni e le consacrazioni; e per conseguenza devono rimanere soggette a noi. Rispondeva Adeodato, vescovo di Siena: Queste chiese e questi monasteri sono nel territorio senese: se ci avete fatte funzioni vescovili, è perchè Siena allora era senza vescovo. Ora devono ritornare a noi, perchè, come ho detto, sono nel nostro territorio 1.» La sentenza, che fa in favore del primo, non parla d’altro appunto, che d’ordinazioni e di cresime, di chiese e di batisteri 2 di questo e d’altre cose ugualmente attinenti all’autorità spirituale parlano pure esclusivamente i molti testimoni esaminati da Gunteramo, e il decreto di Liutprando, e gli altri atti posteriori, accennati sopra, e il breve racconto dell’origine della lite, scritto nel 1057 da un Gerardo, primicerio della cattedrale d’Arezzo, e pubblicato dal Muratori negli Annali 3, e finalmente due giudicati anteriori a quello in questione, pubblicati dall’Ughelli nell’Italia Sacra, e ristampati dal Brunetti, nel Codice Diplomatico Toscano 4. Di proprietà di terre non è fatta in veruno di questi documenti (siano o non siano tutti genuini, qui non importa) menzione veruna. Sicchè noi non troviamo qui Italiani giudici d’Italiani, ma vescovi, italiani o no, che giudicano tra due vescovi:

    Dissert. 17). Se non m’inganno, abbiamo qui il titolo d’una carica non ancora osservata: Notai delle corti regie. Probabilmente ce n’era uno in ogni città. Non si possono confondere col Notaio del sacro palazzo, nominato da Liutprando nell’ultima legge del libro secondo: quae denique universa superius a Celsitudine nostra comprehensa Potoni Notario Sacri Palatii nostri comprehendenda et ordinanda praecipimus. Come si vede, l’attribuzioni di questo erano, almeno in parte, d’un ordine superiore, e relative al governo generale del regno.

  1. Dicebat sanctissimus Lupertianus Episcopus frater noster, quod Ecelesiae istae suprascriptae et Monasteria, a tempore Romanorum et Langobardorum regum, ex quo a fundamentis conditae sunt semper ad Sedem sancti Donati Aritio obedierunt, una cum omnibus Oratoriis suis et nostrorum, vel Antecessorum nostrorum, ibidem fuit ordinatio tam in Presbiteros et in Diaconos, et nostra fuit sacratio semper usque modo, et nos debemus habere. Ad haec respondebat Frater noster Adeodatus Senensis Ecclesiae Episcopus: Veritas est quia Ecclesiae istae et Monasteria in territorio Senensi positae sunt; vestra ibidem fuit sacratio, eo quod Ecclesia Senensis minime episcopus abuit. Nam modo ad nos debent, pervenere quia in nostro, ut dixi, territorio esse noscuntur. — Judicatum quorundam Episcoporum etc. Murat. Antiq. Ital. T. VI, pag. 367.
  2. Proinde decretum per Sanctorum Patrum auctoritatem, ut tu, Sanctissime Frater noster Lupertiane Episcope, ipsas suprascriptas Dioceses (parrocchie) et Monasteria cum suis Oraculis (oratori) abeas absque qualemcumque contaminatione (promiscuità) habere, sicut Antecessores tui a longo tempore habuerunt, et omnis sacratio ibidem per tui oris labia vel Successorum tuorum ibidem, proveniat tam in Presbiteris quamque Diaconis vel Subdiaconis, et Baptisma, vel Chrisma per impositionem manuum, sicut Christianae Religionis est consuetudo, omni tempore proveniat atque fiat. Et nullam faciendi ammodo et deinceps prefatus Adeodatus Episcopus, vel ejus Successores, qui in tempore fuerint, contra te quem suprascriptum Lupertianum Episcopum, vel tuos Successores, de praedictis Baptisteriis, Ecclesiis et Monasteriis cum Oraculis suis, aliquando abet facundiam ad loquendum (azione in giudizio), nec ad ibi fontes faciendum, nec Plebes subtrahendum, nec ullam ordinationem infra ipsas Dioceses, finesque eorum faciendum, sicut Sanctorum Patrum instituta leguntur. Ibid. pag. 369.
  3. Ad. ann. 712.
  4. Parte I, num. VI e VII; pag. 426, 429.