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146 discorso storico

troviamo, dico, de’ vescovi a cui è commesso un giudizio, non per ragione della loro nazione, nè di quella delle parti; ma perchè vescovi confinanti, come accenna incidentemente il Muratori 1, e come suggerisce la cosa medesima. Non troviamo, come le premesse dovevano farci aspettare, de’ giudici in materia civile o criminale; ma un giudicato in una materia affatto estranea alla questione, e alla quale di certo nessun lettore pensava. E possiamo quindi concludere che, se il fatto quale è rappresentato nella Nota non provava punto che ci fossero giudici italiani; il fatto quale risulta dai documenti non prova nemmeno che ce ne siano stati in una circostanza particolare.

È certamente inutile l’osservare quanto sia strano quel: notando che i vescovi sotto i Longobardi erano considerati sudditi come gli altri, nè godevano di privilegio alcuno, a proposito d’una causa nella quale i giudici, se si possono chiamar tali, non lo furono appunto per altro che per esser vescovi. In vece, giacchè abbiamo citato di nuovo quelle parole, osserveremo di passaggio, che deve essere una cosa molto difficile il conciliarle con altre che si trovano nell’opera medesima, e poco lontano. Dopo la prosopopea de’ conquistatori agl’Italiani, che abbiamo riferita al principio di queste osservazioni, l’autore introduce anche il clero a parlare al popolo, e, tra l’altre cose, gli fa dire: Se vedete le immunità nostre, pensate che i coloni agricoli sono sollevati dal peso delle tasse fiscali, e non soggiacciono che alle prestazioni fisse dominicali. De’ vescovi senza alcun privilegio, e un clero con delle immunità, sono due cose che, per concepirle come una cosa sola, ci vorrebbe un grand’aiuto; e l’autore non fa altro che dirle, una in un luogo, l’altra in un altro. Certo, non ogni privilegio è anche un’immunità 2; ma ogni immunità, secondo l’intelligenza comune del vocabolo, è, per ragione della cosa stessa, un privilegio. Cos’erano dunque queste immunità di nova specie? Qualcosa di grande, pare; giacchè il clero ha bisogno di scusarsene in certa maniera col popolo, e di rammentargli che la bazza del regime longobardico non era solamente per lui. Ma, di novo, cos’erano? Ecco ciò che sarebbe molto curioso da sapersi, ma che non è facile da indovinarsi. Questa parola: immunità, applicata alle cose ecelesiastiche, si trova forse nelle leggi, o in qualche altro documento longobardico dell’epoca anteriore alla conquista di Carlomagno? Era bene avvertirne il lettore, giacchè sarebbe, se non m’inganno, una scoperta: resterebbe poi da spiegare come queste immunità fossero tutt’altra cosa che privilegi. E perchè poi il clero, volendo rammentare al popolo i vantaggi che il popolo godeva, non parla che de’ coloni agricoli? Non si può certamente intendere che, secondo l’autore, non ci fossero più proprietari italiani, ma solamente

  1. Liutprando Rege regnante exarsit ejusmodi dissidium, atque ad illud cognoscendum ac dirimendum, directis non semel Regiis Missis, et Episcopis finitimis ad idem judicium accitis, insudavit. Ant. It. T. VI, pag. 367.
  2. Sarebbe, per esempio, un privilegio, e non un’immunità, quello che può parere attribuito dall’autore al clero, nell’epoca longobardica, con queste parole del § IV. Cap, IV. Parte II: La professione, o dirò meglio, l’uffizio pubblico di Notaio fino ai tempi di Carlo Magno disimpegnato dai chierici, viene da quel Monarca levato loro di mano e trasferito intieramente ai laici. E in nota: Vedi Antiquitates Medii aevi del Muratori, Diss. XII, t. I, pag. 664. Pare, dico, che qui non si possa intender altro se non che, prima di Carlomagno, i cherici soli potessero esser notai. Ma ecco ciò che dice il Muratori nel luogo citato: Neque ab eo munere abstinebant Clerici, Subdiaconi, Dioconi, atque Presbyteri.... Verum Carolo M. visum est minime decere Sacerdotes ejusmodi caram, ac proinde in Lege 96 Langobard. statuit, ut nullus Presbyter Chartam scribat, neque conductor existat suis senioribus. Non era dunque l’uffizio di notaio disimpegnato dai chierici; ma solamente qualcheduno di loro l’esercitava; e non poteva esser trasferito, nè intieramente, nè in alcuna maniera ai laici, che l’avevano esercitato sempre.