Pagina:Opere varie (Manzoni).djvu/154

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148 discorso storico

abbiamo bisogno anche noi, o di preservarcene, o di curarcene. No, non si dichiarava espressamente infallibile uno scrittore; ma si chiamava a buon conto irriverenza, temerità, stravaganza, il trovar da ridere alle sue decisioni, senza voler esaminare con che ragione si facesse. Non era un delirio, era una contradiziene; ed è appunto d’una contradizione di questo genere, che abbiamo paura. Chè se i tempi moderni non hanno inventata quella libertà sacrosanta, non hanno nemmeno distrutta quella schiavitù volontaria. Come mai levar dal mondo, rendere impossibile ciò che non è altro che l’abuso e l’eccesso d’un sentimento ragionevole? giacchè chi vorrebbe negare che il giudizio d’una mente superiore alla comune costituisca una probabilità? Può dunque ancora, come in qualunque tempo, nascere il bisogno di ricorrere a quel principio, per prevenire de’ rimproveri non meritati, e di rammentare che i grandi scrittori ci sono dati dalla Provvidenza per aiutare i nostri intelletti, non per legarli, per ingegnarci a ragionar meglio del solito, non per imporci silenzio.

Vogliam forse dire con questo che ai grandi scrittori, o per tenerci a un ordine di fatti molto più facili da verificarsi, agli scrittori di gran fama si possa contradire senza riguardo veruno? Dio liberi! Ce ne vuole con chi si sia, tanto più con loro; perchè cos’è quella fama, se non l’assentimento di molti? e se si può ingannarsi nel dar torto a chi si sia, quanto più a uno il quale molti credono che veda più in là e più giusto degli altri? Si deve dunque in questi casi usare un’attenzione più scrupolosa per accertarsi che non si contradice senza buone ragioni; si deve, non già esprimere meno apertamente un giudizio che, più si guarda, più si trova fondato, ma limitarlo più rigorosamente che mai alla causa trattata; e se, come appunto in questo caso, non s’è esaminato altro che un brano d’un’opera, guardarsi più rigorosamente che mai da ogni parola che esprima un giudizio sull’opera intera, molto più sull’autore. Ed è appunto per avere strettamente osservate queste condizioni, che crediamo d’aver conciliati i riguardi particolari dovuti alla fama con l’uso legittimo d’una libertà che è sempre un diritto, e qualche volta un dovere; è, dico, per ciò, che, accettando di buona voglia la taccia (so è taccia) di balordaggine, quando, con tutta la nostra diligenza, ci fossimo ingannati, protestiamo contro l’accusa possibile d’irreverenza.

Diremo di più (cose ugualmente vecchie, ma opportune) che l’autorità d’uno scrittore, non che essere un impedimento ragionevole al contradirgli, n’è anzi un ragionevole motivo. Certo, se gli argomenti che abbiamo esaminati si trovassero in un libro dimenticato d’uno scrittore oscuro, non ci sarebbe da far altro che tasciarceli stare: la fama dell’opera e dell’autore è, in questo caso, la sola cosa che possa dar peso all’errore, e quindi motivo alla confutazione. Non si dica che sono questioni di poca importanza: la critica anderebbe contro il celebre autore che ha creduto di doverlo trattare. E a ogni modo, per quanto una verità sia piccola, è sempre bene sostituirla all’errore; chè, se una materia è tale che l’averne un’idea giusta sia poca cosa, che sarà l’averne un’idea falsa?

Ma, del resto, c’è un altro motivo, e il più forte ne’ casi appunto in cui l’errore non cada in una materia importante; ed è che negli scrittori di gran fama tutto può diventare esempio. Ora, la maniera con cui il Romagnosi ha trattato quel punto di storia, sarebbe bensì molto facile, ma tutt’altro che utile da imitarsi. Indipendentemente dagli errori materiali, non è bene che, sull’autorità del suo nome, si creda che, con qualche ritaglio di documento, trovato, per dir così, nella cenere, con l’interpretazione di qualche parola presa isolatamente, separata dal com-