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capitolo quinto 183

In altri scrittori si vede uno spirito di partito nato da motivi e da disposizioni più degne, ma però sempre partito. Taluni compresi da una venerazione sinceramente pia per la dignità de’ sommi Pastori, sdegnati della parzialità ostile con cui molti di essi erano stati trattati, hanno difeso, giustificato si può dire ogni cosa. Altri invece sdegnati dell’abuso che alcuni papi fecero della loro autorità, non hanno fatta distinzione nè di tempi, nè di circostanze, nè di persone; hanno veduto in tutte l’azioni di tutti i papi un disegno profondo, continuo, perpetuo d’usurpazione e di dominio; e sono stati portati a rappresentare tutti i nemici di quelli, come vittime per lo più mansuete sotto il coltello inesorabile del sacerdote. Ed è una cosa da far veramente stupore, che scrittori per altro retti e non di vista corta, ma dominati da questo spirito, chiedano ai posteri lacrime, non per la morte dolorosa, non per que’ patimenti che ognuno compiange e che ogn’uomo può provare, ma per la perdita del potere, per l’andare a voto i disegni ambiziosi d’uomini che deliberatamente, imperturbabilmente, ne hanno fatte sparger tante.

Quando una questione storica è diventata così una disputa di partito, i lettori sono per lo più disposti a supporre mire di partito in chiunque la tratti di nuovo; e tanto più, quando la sua opinione sia assolutamente favorevole a una delle parti. Tale è il caso di chi scrive questo discorso: e cosa fare in questo caso? Dire la cosa proprio come la si pensa, e lasciar poi che ognuno l’intenda a modo suo. Chi scrive protesta dunque, che il giudizio, che dall’attenta considerazione de’ fatti s’è formato nella sua mente sull’ultime differenze tra i Longobardi e i papi, è decisamente favorevole a quest’ultimi; e che il suo assunto è di provare che la giustizia (non l’assoluta giustizia, che non si cerca nelle cose umane) era dalla parte d’Adriano, il torto dalla parte di Desiderio; e nulla più. Che se chi difende un papa vien riguardato come l’apologista di tutto ciò che tutti i papi hanno fatto, o che è stato fatto in loro nome; se molti non sanno immaginare che si possa voler provare che un uomo, una società ha avuto ragione in un caso, se non col fine di favorire tutta la causa, tutto il sistema al quale quell’uomo e quella società si risguardano come uniti, lui non ci ha colpa; e il fine che si propone davvero, è di dire quella che gli par la verità, e di dirla tanto più di genio, quanto più è stata contrastata.

Nella lunga lotta tra i re longobardi e i papi, ciò che è stato più osservato sono le mire ambiziose di questi: è il testo ordinario della questione; lì battono l’accuse e le difese. Ma l’importanza data a questo punto è un effetto di quell’abitudine strana di non vedere nella storia quasi altro che alcuni personaggi. Non si trattava solamente di papi e di re; e in una vasta discussione d’interessi com’era quella, l’ambizione degli uni o degli altri è una circostanza molto secondaria. Si sa che gli uomini i quali entrano a trattare gli affari d’una parte del genere umano, ci portano facilmente degli interessi privati: trovar de’ personaggi storici che gli abbiano dimenticati o posposti quella sarebbe una scoperta da fermarcisi sopra. Ma nel conflitto tra quelle due forze s’agitava il destino d’alcuni milioni di uomini: quale di queste due forze rappresentava più da vicino il voto, il diritto di quella moltitudine di viventi, quale tendeva a diminuire i dolori, a mettere in questo mondo un po’ più di giustizia? Ecco, a parer nostro, il punto vero della discussione.

Per formarne un giudizio, bisogna pur risolversi a dare un’occhiata ai fatti: toccheremo i principali con tutta quella brevità che si può conciliare con l’esattezza necessaria; dimanierachè ce ne sia abbastanza per