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atto secondo. 33

Il crisma santo su l’altar di Dio,
Pria che, sparso da me, seme diventi
Di guerra contro il figliuol mio. - T’aiti
Quel tuo figliuol, fe’ replicargli il rege;
Ma pensa ben, che s’ei ti manca un giorno,
Fia risoluta fra noi due la lite".

                        carlo.
A che ritenti questa piaga? In vani
Lamenti vuoi che anch’io mi perda? o pensi
Che abbia Carlo mestier di sproni al fianco?
- È in periglio Adrian; forse è mestieri
Che altri a Carlo il rimembri? Il vedo, il sento;
E non è detto di mortal che possa
Crescere il cruccio che il mio cor ne prova.
Ma superar queste bastite, al suo
Scampo volar.... de’ Franchi il re nol puote.
Detto io te l’ho; né volontier ripeto
Questa parola. - Io da’ miei Franchi ottenni
Tutto finor, perché sol grandi io chiesi
E fattibili cose. All’uom che stassi
Fuor degli eventi e guata, arduo talvolta
Ciò ch’è più lieve appar, lieve talvolta
Ciò che la possa de’ mortali eccede.
Ma chi tenzona con le cose, e deve
Ciò ch’egli agogna conseguir con l’opra,
Quei conosce i momenti. - E che potea
Io far di più? Pace al nemico offersi,
Sol che le terre dei Romani ei sgombri;
Oro gli offersi per la pace; e l’oro
Ei ricusò! Vergogna! a ripararla
Sul Vésero ne andrò.


SCENA II.


ARVINO e DETTI.


                        arvino.
                           Sire, nel campo
Un uom latino è giunto, e il tuo cospetto
Chiede.

                        pietro.
               Un latin?

                        carlo.
                        D’onde arrivò? Le Chiuse
Come varcò?

                        arvino.
                   Per calli sconosciuti,
Declinandole, ei venne; e a te si vanta
Grande avviso recar.