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530 osservazioni sulla morale cattolica


Chi vorrà discolpare su questo punto il clero italiano? Se così è, non resta a desiderare altro se non che sia sempre così, e che queste raccomandazioni siano universali, costanti, figlie della scienza e della carità, che il clero non abbia mai altro linguaggio; poichè è quello del Vangelo.

Del resto, al fedele scrupoloso (intendendo questo termine nel suo stretto senso) si raccomanda in Italia, come altrove, d’interdirsi l’eccessive a lunghe considerazioni sopra ogni azione e sopra ogni pensiero, e di fermarsi sull’idee ilari e confortevoli di fiducia in Dio, e della sua misericordia.

Non sarà qui fuori di proposito l’osservare come questa malattia morale attesti nello stesso tempo, e la miseria dell’uomo, e la bellezza della religione. Lo scrupoloso ci mette del suo l’incertezza, la trepidazione, la perturbazione, la diffidenza, disposizioni pur troppo naturali all’uomo, e che in alcuni sono predominanti a segno che governano, o piuttosto intralciano tutte le loro operazioni. Ma è una cosa molto notabile, che quell’angustia che l’avaro mette nella conservazione della roba, l’ambizioso nel mantenimento e nell’aumento della sua potenza, quella penosa e minuta sollecitudine che tanti hanno, per gli oggetti delle loro passioni, si eserciti da alcuni cristiani, intorno a che? all’adempimento de’ loro doveri. La tendenza alla perfezione è tanto propria alla religione, che si manifesta perfino ne’ traviamenti e nelle miserie dell’uomo che la professa. Un animo occupato dal timore di non essere giusto abbastanza, fino a perderne la tranquillità, potrebbe quasi parere un miracolo di virtù, se la religione stessa, tanto superiore al discernimento umano, non ci facesse vedere in quell’animo delle disposizioni contrarie alla fiducia, all’umiltà e alla libertà cristiana; se non ci desse l’idea d’una virtù da cui è escluso ogni movimento disordinato, e la quale, quanto più si perfeziona, tanto più si trova vicina alla calma e alla somma ragione.

«Et toutes les fois qu’il rencontre un doute, toutes les fois que sa situation devient difficile, il doit recourir à son guide spirituel. Ainsi l’épreuve de l’adversité, qui est faite pour élever l’homme, l’asservit touours davantage.» Ivi.

Non c’è forse scoperta più amara all’orgoglio, che l’accorgersi d’essere stato, per troppa semplicità, un cieco istrumento d’un’astuta dominazione, d’avere ubbidito a de’ voleri ambiziosi, credendo di seguire de’ consigli salutari. A quest’idea, le passioni compagne dell’orgoglio si sollevano con tanto più di veemenza, in quanto trovano un appoggio nella ragione. Perchè, è certo che Dio vuole che la mente si perfezioni nella considerazione de’ suoi doveri, ?nella libera scelta del bene; e l’uomo che si lascia rapire arbitrariamente il governo della sua volontà, rinunzia alla vigilanza delle sue azioni, delle quali non renderà meno conto per ciò. Il solo sospetto di questa debolezza può quindi portar l’uomo ai pensieri più inconsiderati, e fargli dire senza cagione, e a suo gran danno: «Spezziamo le loro catene, e buttiamoci d’addosso il loro giogo1.» Importa perciò sommamente di separare la voce dell’orgoglio da quella della ragione, perchè unite non ci facciano forza, e d’esaminare tranquillamente quale deva essere, in questa parte, la condotta ragionevole e dignitosa d’un cristiano.

Si possono considerare nel sacerdozio due sorte d’autorità: quella che viene da Dio, e forma l’essenza della missione, l’autorità d’insegnare, di sciogliere e di legare; e un’altra autorità che può esser data volontariamente, in riguardo della prima, da questo e da quel fedele, a questo

  1. Dirumpamus vincula eorum, et projiciamus a nobis jugum ipsorum. Ps. II, 3.