Pagina:Opere varie (Manzoni).djvu/633

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sulla lingua italiana 627


Per conseguenza, quand’anche nel fatto delle Lettere, accadesse ciò che s’è detto delle arti e delle scienze, non s’avrebbe a far altro che a registrar nel vocabolario della lingua i termini relativi alle Lettere che fossero nell’Uso comune, rimettendo gli altri a un vocabolario particolare, come si fa in quegli altri casi; e il vocabolario della lingua riuscirebbe intero, nè più nè meno.

Ma il caso non è nemmeno lo stesso. Non avendo le Lettere, come l’hanno l’arti e le scienze, una loro materia particolare, composta d’oggetti e d’operazioni. ignote in parte: anche alla porzione, civile e colta del pubblico, non hanno, per conseguenza, una particolare nomenclatura a uso di quelli soli che le professano. Il titolo di Persona di Lettere, nella comune accezione del vocabolo, si applica a chi scrive in materie relative alla cultura dell’ingegno umano, distinte bensì, fino a un certo o a un incerto segno, dalle arti e dalle scienze, ma non aventi, come ognuna di quelle, un oggetto unico e interamente loro. Comprendono, per accennarne qualcosa, ogni genere d’eloquenza e di poesia, lavori d’immaginazione in qualunque forma, e anche scritti composti senza neppur prevedere che potessero diventar monumenti letterari, come è avvenuto di qualche raccolta di lettere missive e, per esempio, di quelle di Cicerone e, tra i moderni, di quelle del Caro, e di quelle inimitabili di Madama de Sévigné. Tali sono ugualmente certi discorsi nemmeno scritti da’ loro autori, ma composti e recitati all’improvviso, e per occasioni non prevedute, per esempio in qualche assemblea politica: discorsi, ad alcuni de’ quali toccò la sorte d’esser citati come modelli d’eloquenza. Gli stenografi, che gli raccolsero dalla viva voce, e gli scrissero, non li fecero, di certo, passare con ciò da una lingua in un’altra.

Come attinenti alla letteratura si riguardano ancora gli scritti teorici intorno alla grammatica, alla lingua, allo stile, o che trattano, più in genere ancora, del Bello, e sono in parte applicabili anche alle arti, perciò chiamate belle; giacchè, insieme con la diversità dei mezzi, c’è tra queste e le Lettere un fine comune; anzi trattano spesso i medesimi soggetti.

Ora, che c’è egli mai, e che ci può essere in que’ vari lavori composti dalle persone di Lettere, appunto perchè siano letti dalle persone civili, o anche da un maggior numero, o sentiti recitare, sia ne’ teatri, sia in discorsi pubblici di qualunque genere; che, c’è egli, dico, che sia riservato a uso particolare delle persone di Lettere? E se tali lavori sono fatti perchè siano intesi e gustati anche da altri, che dagli uomini della professione, bisogna pure che questi altri conoscano i termini destinati a significare le qualità che approvano, che ammirano, i difetti che trovano in que’ lavori. Tra chi parla e chi ascolta, tra chi scrive e chi legge, ci deve essere, di necessità, un linguaggio comune. E per conseguenza, dovranno que’ termini, come parte integrale dell’Uso, esser registrati nel Dizionario della lingua.

Quello dell’Accademia Francese, al quale m’appello con maggior fiducia, vedendolo citato nella Relazione di Firenze, come atto a servir d’esempio, è certamente il Dizionario dell’Uso Francese. Nella prefazione di esso, dopo fatta menzione de’ tentativi mal riesciti di formarlo sopra esempi cavati dai libri, è detto: On résolut de revenir ?l’usage, et de composer le Dictionnaire, non des auteurs, mais de la langue1. Ora, chi dicesse a quegli accademici: Voi non ci avete dato che il Dizionario dell’Uso; dateci ora l’intiero Dizionario della lingua ad uso delle persone di Lettere, non so se intenderebbero cosa si volesse da loro. Ma in-

  1. Dictionnaire de l’Académie française, sixième édition, Preface, pag. XIII.