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638 appendice alla relazione

con quei pochi vocaboli e modi di dire presi direttamente dall’Uso. E se i suoi autori che, con giustizia come con piacere, possiamo pure chiamare benemeriti, non fecero di più; se in questo stesso loro fatto non videro e la ragione e la possibilità di dare all’Italia il vero e intero Vocabolario del loro Uso, la cagione delle cagioni ne fu quel funesto smembramento dell’Italia stessa, il quale in questa, come in ogni altra cosa anche più importante e vitale, non permetteva nè di compire, nè d’intraprendere, e quasi nè anche di concepire alcuna impresa che avesse un intento nazionale.


III.


A ciò che s’è detto fin qui e intorno alla materia e intorno al metodo che richieda la composizione d’un vocabolario, il che era l’assunto di questo scritto, non parrà, spero, un’aggiunta nè fuor di proposito, nè priva affatto d’utilità il riepilogare i principi e i fatti che in esso e in qualche altro già pubblicato, m’è occorso di toccare, riguardo alla questione della lingua italiana. Dovendo, nel far questo, ripetere di necessità cose già dette, mi studierò di fare in modo che, e dall’ordine e dal nesso e da qualche maggiore ampiezza con cui saranno esposte, possa venire qualche nova luce all’argomento.

1. L’Uso è, in fatto di lingua, la sola autorità, val a dire il solo eriterio col quale si possa logicamente riconoscere se un vocabolo; o qualunque altro segno verbale appartenga, o non appartenga a una data lingua. È questa una di quelle verità che si possono dimostrare con più d’un argomento, ognuno de’ quali basta da sè. Tale è, per esempio, quello che si può ricavare dal non esserci veruna relazione, intrinseca e necessaria tra i vocaboli e le idee; dal che ne viene che l’attitudine de’ vocaboli a produrre ’significazioni’ è necessariamente un effetto d’una causa arbitraria nè ce ne può esser altra che l’accordo, comunque formato, nell’annettere una significazione a ciaschedun vocabolo. Del pari dimostrativo è l’altro argomento, già accennato in questo scritto; ed è che quell’accordo (o col suo nome l’Uso) è il solo criterio che sia adequato alla materia intera, cioè il solo applicabile a ognuno de’ fatti d’una lingua. Questa verità appare poi più chiaramente dal confronto che si faccia di questo con tutti gli altri criteri che sono stati allegati per dimostrare che questo o quel vocabolo sia da registrarsi nel vocabolario generale della lingua. Analogia, etimologia, derivazione immediata, sia da de’ vocaboli della stessa lingua, sia da quelli d’una lingua detta madre, utilità, bisogno, facile intelligibilità, bella forma, esempi di scrittori, e non so che altre o qualità o circostanze, che furono messe in campo a questo intento, ci sono tanto inette, che possono trovarsi, o una o anche più, in un vocabolo, senza che, per questo, si possa chiamarlo vocabolo d’una lingua. Infatti chiunque dice che un tale o un tal altro vocabolo immaginato da lui, meriterebbe, per qualche sua qualità o opportunità, d’entrare nella lingua, viene a dire che, malgrado questi titoli, ne è fuori.

E qui nasce l’occasione d’osservare che l’errore di cui si tratta, nasce, come tanti altri, dall’abuso d’una verità. È, infatti, innegabile che e certe qualità e certe circostanze opportune, possono essere per l’Uso un motivo d’accettare e vocaboli e locuzioni qualunque, le quali, o gli vengano proposte espressamente, o trovi adoprate da un qualcheduno; e una subdola metonimia ha fatto prendere il motivo per l’effetto. Una lingua è un complesso di fatti, e non un mescuglio di fatti e di possibili, come nè anche di fatti vivi e di fatti morti: e la dimenticanza di queste con-