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atto quarto. 73

De’ miei pensier si getta, e la consulta
Ne turba? - Fedeltà! Bello è con essa
Ogni destin, bello il morir. - Chi ’l dice?
Quello per cui si muor. - Ma l’universo
Seco il ripete ad una voce, e grida
Che, anco mendico e derelitto, il fido
Degno è d’onor, più che il fellon tra gli agi
E gli amici. - Davver? Ma, s’egli è degno,
Perché è mendico e derelitto? E voi
Che l’ammirate, chi vi tien che in folla
Non accorriate a consolarlo, a fargli
Onor, l’ingiurie della sorte iniqua
A ristorar? Levatevi dal fianco
Di que’ felici che spregiate, e dove
Sta questo onor fate vedervi: allora
Vi crederò. Certo, se a voi consiglio
Chieder dovessi, dir m’udrei: rigetta
L’offerte indegne; de’ tuoi re dividi,
Qual ch’ella sia, la sorte. - E perchè tanto
A cor questo vi sta? Perchè, s’io cado,
Io vi farò pietà; ma se, tra mezzo
Alle rovine altrui, ritto io rimango,
Se cavalcar voi mi vedrete al fianco
Del vincitor che mi sorrida, allora
Forse invidia farovvi; e più v’aggrada
Sentir pietà che invidia. Ah! non è puro
Questo vostro consiglio. - Oh! Carlo anch’egli
In cor ti spregerà. - Chi ve l’ha detto?
Spregia egli Svarto, un uom di guerra oscuro,
Che ai primi gradi alzò? Quando sul volto
Quel potente m’onori, il core a voi
Chi ’l rivela? E che importa? Ah! voi volete
Sparger di fiele il nappo a cui non puote
Giungere il vostro labbro. A voi diletta
Veder grandi cadute, ombre d’estinta
Fortuna, e favellarne, e nella vostra
Oscurità racconsolarvi: è questo
Di vostre mire il segno: un più ridente
Splende alla mia; nè di toccarlo il vostro
Vano clamor mi riterrà. Se basta
I vostri plausi ad ottener, lo starsi
Fermo alle prese col periglio, ebbene,
Un tremendo io ne affronto; e un dì saprete
Che a questo posto più mestier coraggio
Mi fu, che un giorno di battaglia in campo.
Perchè, se il rege, come suol talvolta,
Visitando le mura, or or qui meco
Svarto trovasse a parlamento, Svarto,
Un di color, ch’ei traditori, e Carlo