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— Te lo dirò domani.

Quella notte Loris avrebbe scommesso di avere la febbre. Gli pareva di vedere Tatiana in mille modi, ascoltava la sua voce fra un murmure lontano di applausi e di fischi per quest’opera di vendetta, nella quale una principessa bella e vergine avrebbe pagato per tutta l’aristocrazia. Poi, a certi momenti, temeva di venir meno nella stretta suprema, e si sferzava colle ingiurie per esasperare il proprio odio.

Prima ancora che l’alba sorgesse vagava già per la foresta. Tutto era incanto. Le macchie splendevano di fiori, l’erba mormorava; gli uccelli vagavano a stormi o cantavano solitari, gli insetti ronzavano a nuvole entro le pezze di sole distese fino a terra dai rami degli alberi. Una freschezza innocente saliva dagli antri più cupi della foresta, dove l’ombra ed il freddo, in altra stagione, soffiavano indefinibili terrori.

Ma Loris s’irritò di quella pace. Nella caverna trovò Topine attaccato al fiasco della vodka.

— Non voglio che t’ubbriachi quest’oggi, gli gridò strappandoglielo.

Poi uscirono assieme. Loris credeva di non ingannarsi sul punto, ove entrerebbe la comitiva: sarebbe nello spiazzo della grande betulla di Sant’Elia, perchè un’immagine del santo era confitta nel suo tronco biancastro. Topine sollevava difficoltà per ostentare la propria conoscenza della foresta; finalmente convennero di tutto.