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— Ma se pigliano invece dallo sbocco della Cerva? obbiettò ancora Topine.

Loris gli rispose con una bestemmia, e andò a mettersi in agguato. Fumava. Topine, che non poteva ammettere questo per le proprie idee settarie, gli chiese un mozzicone di sigaro per farne una cicca.

Attesero lungamente. L’aria era snervante malgrado il vento odoroso, che susurrava fra gli alberi. Tratto tratto minimi rumori sembravano ingigantirsi e vanire; qualche animale invisibile passava stornendo fra i cespugli. Loris s’incantò a guardare un ramarro, che lo spiava. Poi udirono delle voci e dei passi frettolosi; erano due servi del castello, e due mugiks carichi di attrezzi da pesca, che si affrettavano verso lo stagno. Avevano preso per quel sentiero degli androni.

Passò ancora del tempo. Loris e Topine erano sdraiati a poca distanza, questi pareva sonnecchiare; sulla faccia di Loris passavano a quando a quando delle nuvole. Era vestito elegantemente di un panno cenerino, due stivali molli e giallognoli gli arrivavano alle ginocchia; una camicia di seta a fiorelli su fondo paglino, aperta sul collo e rattenuta da una cravatta svolazzante, gli scopriva la sommità del petto bianco come quello di una donna. La barba tagliata a punta dava un’aria marziale al suo viso, rimasto ancora delicato malgrado il sole e il freddo della steppa. Aveva gettato sull’erba il cappello bianco a larga tesa.