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vantava collo sguardo verso gli altri, se la scroccheria riusciva. E quando i signori ripartivano freddi e compassati, tutto il crocchio di quella gente si affollava entro lo steccato della stalla, augurando il buon viaggio a capo scoperto, umili nell’ammirazione del ricco equipaggio.
Il secondo giorno, essendo discesi ad un traktir pieno di mugiks, che vi tenevano, come al solito, una delle loro assemblee per discutere un affare del mir, il principe si volse a Loris:
— Provate dunque a parlare con loro.
Egli sentì tutta l’ironia di quell’allusione all’invincibile diffidenza dei mugiks pei signori, e non rispose.
Allorchè giunsero in vista del castello, il principe si scosse. Il villaggio vi sorgeva davanti a non molta distanza; sull’ingresso del villaggio la piccola chiesa arrotondava la propria cupola verde bizzarramente incappellata dalla neve. La giornata era fosca. Un vento, levatosi da poco, faceva stridere sommessamente i grandi alberi a fianco del castello, staccando dalle loro cime, che si rialzavano di un crollo, qualche groppo di neve. Si udì il latrato di un cane. Il castello non era nè grande nè ricco, ma costrutto in muratura, a due piani, dominava tutte le isbe dall’altezza delle proprie finestre.
Traversando il villaggio, la campanella attrasse sugli usci alcuni mugiks, che s’inchinarono sino a terra. Quindi la notizia dell’arrivo si sparse così ra-