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vano i desideri della gran vita mondana, facendogli sentire spasmodicamente l’indifferenza delle dame e dei signori, che nemmeno avvertivano la sua presenza. Allora gli pareva bella la posizione dello Czar, minacciato di morte da tutti i rivoluzionari, e nullameno fermo a non concedere nulla alle loro recriminazioni.

Benchè dicesse di essere venuto a Kazan per la biblioteca, non vi aveva ancora posto il piede, dacchè viveva in una famiglia di piccoli mercanti di grano, che gli avevano affittato una stanza. Il suo riserbo, la sua educazione, la sua stessa bellezza lo avevano reso l’idolo della casa, mentre la padrona, donna grassa sui quarant’anni, si era invano innamorata di lui, e i bambini invece lo sfuggivano istintivamente.

Nelle lunghe sere che gli studenti venivano a trovarlo, offriva loro la vodka; si leggevano i giornali clandestini, il Vpered, Zemlia e Volia, le opere di Marx, assurdamente permesse mentre quelle dello Spencer erano proibite. Quindi s’accendevano discussioni letterarie, nelle quali egli si manteneva indifferente. Allora uno degli scrittori prediletti era Ernesto Renan; Loris, che ne aveva letto poco, lo giudicò succintamente:

— Un musicista!

Non accettava nemmeno Zola, perchè il suo naturalismo gli pareva più falso di qualunque altro idealismo. Quei personaggi, viventi solo di sensazioni sensuali, erano manichini; il popolo