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chiamava Popiel. Nicola fiutando in lui un nemico, n’ebbe quasi piacere, per battagliare almeno con qualcuno, ma l’altro si mostrò quasi servile, e rimase scapolo.
Nicola viveva nella piccola casa, rifabbricata dal padre coi propri danari, a fianco della chiesa. La casa in legno aveva una stalla per la vacca, della quale il latte era un gran sollievo per la famiglia; ma, segno di vera miseria, Nicola non teneva cavallo. Quindi, allontanandosi dalla chiesa, doveva chiederne uno a qualche contadino.
Quanto al padrone del villaggio, assente da molti anni, Nicola si ricordava di averlo visto solo due volte da fanciullo; era un signore, il principe Khovanski, discendente di Guidemino, dell’antica casa di Lituania nota in Europa sotto il nome dei Iagelloni, nobiltà di primo ordine, la sola capace di lottare con quella dei discendenti di Rurik. Era celibe e ricchissimo. Possedeva nel paese quarantamila ettari, così, che per ispezionare tutte le proprie terre, doveva più volte mutare di cavalli; ma non vi aveva soggiornato che a grandi intervalli. Il vecchio pope si era sempre lagnato de’ suoi modi soldatescamente aristocratici. Giammai era stato ricevuto al castello, nemmeno per pasqua, quando faceva il giro di tutte le case benedicendo; non gli si lasciava oltrepassare il vestibolo, ove i servitori sguaiati gli offrivano la vodka, gettandogli nel paniere l’elemosina.
Nullameno il vecchio pope non aveva mai smesso