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portanza che ai tanti sfoghi, spesso consimili, uditi nella propria famiglia.
— Tu credi in Dio, tu!? egli le gridò una volta.
— Non lo vuoi?
— E che m’importa?
— Farò come desideri.
Questa sublime semplicità lo scosse.
Ma invece di rassegnarsi a quella vita, egli se ne crucciava ogni giorno più. Poi gli morirono il padre e la madre; dovette prendere un altro diacono, mutare il sagrestano. Quando tutti questi cangiamenti furono compiti, egli avvallò nella più desolata misantropia. Aveva esaurito ogni eventualità della vita; d’ora innanzi che cosa potrebbe più accadergli in quell’esilio dal mondo? La morte della moglie? I canoni gli impedirebbero allora di prenderne un’altra; solamente per una benigna e recente interpretazione gli si permetterebbe di seguitare nell’esercizio della parrocchia. Ma egli se ne andrebbe piuttosto, non sapeva dove, ma fuori della Russia, a morire almeno non prete, libero come tutti gli altri uomini.
Col nuovo diacono si vedevano il meno possibile. E siccome in Russia il sacerdozio è interdetto ai diaconi come il vescovado ai pope, quegli era al solito un chierico non passato agli esami, e condannato quindi tutta la vita al servizio subalterno dell’altare. Era di piccola statura e di poca voce, coi capelli crespi e la faccia terrea; si