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contatti rinnovellare l’impero braminico. Così il principe Kovanski comprendeva la Russia.

Ma il principe non arrivò nemmeno al ministero della guerra; si dubitò del suo ingegno, si credette troppo alla sua onestà. Le riforme di Alessandro II, più piccole e più leggiere, scorrevano invece sulla superfice dell’impero senza fecondarlo. Egli già ritirato da qualche tempo all’estero, in una lettera al principe Tcherkvassky, definiva così lo Czar:

«Alessandro I era il dubbio nell’intenzione, Alessandro II è l’indecisione nel processo, solo Nicolò in mezzo a loro aveva potuto rappresentare la sicurezza della reazione.»

A poco a poco il suo spirito si falsò, mutandosi di slavofilo in pessimista. Nulla era più vero nella Russia, ne il governo, nè la rivoluzione, nè l’ortodossia, nè l’incredulità. L’emancipazione dei contadini, alla quale non aveva potuto cooperare, l’irritò. Durante l’estimo delle terre e le trattative del loro riscatto coi comuni, che componevano il suo vasto patrimonio, i mugiks gli apparvero anche più ignobili di prima. Non un orgoglio in essi, non un ideale anche lontano.

Adesso si occupava tratto tratto di agricoltura, inspirandosi ai modelli inglesi, senza poterli applicare per l’insufficienza degli uomini, ai quali era costretto di ricorrere.

Quando venne a stabilirsi nel castello, anche per consiglio dei medici, che credevano la vita dei