Pagina:Oriani - Il nemico.djvu/104

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gna depose il pugnale sul tavolo come a sfida, così che il primo entrando dovesse per forza vederlo e provare la tentazione di esaminarlo: quindi si gettò sul divano. Era stanco, si sentiva la testa pesante. Gli parve che la camera fosse fredda malgrado la stufa piena di carbone, che bruciava nell’angolo presso la finestra; la candela agitava sulle pareti subite masse d’ombra, che dileguavano nel vuoto. Ascoltò il silenzio, tese l’orecchio per le vie di Pietroburgo, ancora ignara della sua presenza, ma che si sarebbe presto sottomessa alla sua volontà.

La città immensa sonnecchiava sotto quel leggero velo di neve, nel caldo delle proprie stanze affollate di gente immemore di sè stessa a quell’ora. La notte isola gl’individui nel sonno: la società non esiste più mentre ognuno rientra nel proprio mondo. Egli stesso ricominciava il solito sogno di rivoluzione e di vittoria. Tornato dopo quattro anni a Pietroburgo per accendervi la guerra, in quella notte aveva già atterrato una sentinella nemica, e tenuto il primo consiglio collo stato maggiore dei propri alleati. Naturalmente era riuscito ad una scissura con una affermazione però anche più grande. Egli, solo, senza autorità di precedenti, colle uniche forze dell’ingegno e della volontà, aveva potuto ottenere un abboccamento da quel terribile Comitato esecutivo, contro il quale da tanti anni falliva tutta la potenza dello Czar. Chi erano quei cinque masche-