Pagina:Oriani - Il nemico.djvu/107

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Non potè star sdraiato: si alzò, passeggiò nervosamente per la stanza. Era solo, non aveva nessuno al mondo. Dopo un quarto d’ora si trovò appoggiato ai vetri della finestra, guardando giù nella strada senza vederla. Gli era sembrato di essere in una solitudine senza confine e senza forma, solo colla propria idea, come un naufrago aggrappato ad una tavola sul mare inerte e sotto il cielo vuoto. Pensò ai grandi abbandonati, a Cristo sul Golgota, a Prometeo sul Caucaso, a Napoleone a Sant’Elena, a coloro periti sconosciuti nei deserti del pensiero e ritrovati poi dalla critica tanti secoli dopo; ai viaggiatori morti ignorati dalla patria, che avevano abbandonato e dai popoli che avevano scoperto; pensò alla morte di Bazaroff, improvvisa, accidentale, assurda, e alla sprezzante, quasi muta, protesta del suo spirito dinanzi ad essa: pensò all’isolamento di Raskolnikoff in Siberia, e al suo rammollimento d’amore per Sonia, la nuova Maddalena; idillio grottesco spuntato da un ignobile dramma come un fungo da un corpo fradicio. Si sentiva solo, dimenticato, dimentico egli pure. Per lottare bisognava essere fuso con altri, perchè solamente così si poteva dominare la loro volontà. Egli invece era vissuto sempre solo, non si era mosso, non aveva agito che nel proprio pensiero.

Una smania gli esasperava tutti i muscoli: avrebbe gridato per riempire colla propria voce quella camera, della quale il silenzio era senza