Pagina:Oriani - Il nemico.djvu/126

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samente. Vista dall’alto così immersa nell’oscurità, avrebbe dovuto sembrare un immenso fornello, nel quale ardessero qua e là dei pezzi di carbone. Poi il suo pensiero perdendosi in quella buia immensità fluttuò stancamente sul flusso del mare.

Passarono molte ore.

La sua ultima decisione era stata di non andare all’appuntamento che verso le undici: così avrebbero avuto tutto il tempo per discutere le sue proposte, e quel ritardo li avrebbe meglio disposti a subire il suo ascendente.

Quando si mosse, le undici erano già suonate: si affrettò non volendo però ripensare a ciò che starebbe per accadergli. Quel buio solenne della notte si era fatto anche sul suo spirito, nel quale le passioni non si muovevano più che in fondo, come le acque del mare, senza accento. Il palazzo di Ogareff non era molto lungi; a piedi gli sarebbe occorso mezz’ora per giungervi. Ma improvvisamente gli parve tardi, tornò ad aver fretta. Prese il fiacre.

Suonarono le undici e tre quarti, quando si arrestò al portone.

— Se ne saranno andati, si disse mentalmente senza osare di chiederlo al portinaio.

Invece erano là nella grande sala da pranzo, a tavola, fra le fiamme dei bicchieri e dei discorsi.

Quando il servo venne ad avvisarne Ogareff, questi si alzò esclamando: