Pagina:Oriani - Oro incenso mirra, Bologna, Cappelli, 1943.djvu/275

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lettere profumate che non arrivavano mai; fra le fantasmagorie di troppi romanzi che si dissolvevano nell’impossibile, il suo buon senso popolano protestava ancora. Quindi scuoteva la testa per scrollarne tutte quelle immagini, ma allora una malinconia cupa come il fondo di quel vecchio ritratto gli si addensava lentamente nel cuore.

Dopo molti mesi della più rigida miseria, all’avvicinarsi dell’inverno parve che la stagione per lui migliorasse. Gli furono offerti da verniciare tutti gli usci e le finestre di un appartamento, più i portoni di una stalla e di una rimessa. Il lavoro era poco nobile, ma c’erano trenta lire da guadagnare in una settimana. Accettò allegramente. A mezzo dell’opera aveva già comprato per dieci lire un vecchio paltò, nel quale si affagottava voluttuosamente andando girelloni apposta nei primi freddi notturni lungo una qualche mura della città.

La sera del sabato, finito il lavoro, ne aveva intascato il resto del prezzo: quattordici lire. Erano troppe, la testa gli girò. Venne prima a casa: voleva lavarsi, pettinarsi, mutare camicia per entrare a cena in qualche buona locanda, ma la pigrizia lo rattenne da tale grossa follìa. Invece discese in una cantina, ove si cucinava anche da bettola, e vi scialò in una cena inesauribile quasi tre lire lasciando cinque soldi di buona mano all’ostessa. Fuori l’aria era pungente: nullameno egli si sbottonò il pastrano e col cappello sulla nuca, le mani dietro la schiena si mise a camminare sbuffonchiando. I maccheroni e il vino ingollato gl’infiammavano il sangue, gli pareva che la luce del gas facesse un’aureola intorno alla testa di tutte le donne, quando passavano sotto i lampioni. Ma improvvisamente, prima ancora che questo indistinto bisogno femminino gli si acuisse nella coscienza, al-