Pagina:Oriani - Vortice, Bari, Laterza, 1917.djvu/140

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Ma il baccano domenicale li teneva in disagio. Lo scrivano, malgrado le declamazioni socialiste, sapeva di essere poco gradito; Cavina era sospettato di aristocrazia per i modi abbastanza garbati e quella istintiva predilezione della grande arte, che lo traeva imprudentemente a ridere delle commedie e delle musiche gustate dal popolino; il vecchio maestro, benchè simpatico per la dolce ingenuità del carattere e l’onestà della lunga vita, s’irritava troppo, nella lieta viridezza di tutte le proprie forze, contro ogni critica alla parte moderata. Egli era rimasto dentro la formula cavourriana, condannando ad alta voce tutti gli eccessi politici e le demenze atee dei nuovi rivoluzionari.

— Eh, maestro! — esclamò Cavina; — ecco qui altri due suicidii a Torino; non c’è più religione.

— Voi lo dite per ischerzo, giovinastro.

— Come si sono ammazzati? — domandò Romani.

— Uno si è avvelenato, l’altro si è gettato sotto il treno.

E Cavina lesse i due incisi di cronaca, secchi, terribili.

— I giornali non dovrebbero nemmeno stampare certi fatti, — disse il maestro: — le teste leggere si esaltano e, una volta esaltate, li commettono più facilmente.

— Allora io sono una testa pesante. Possono raccontarne dei suicidii, io non mi suiciderò mai, — replicò Cavina.

— Chi può dirlo? — ribattè Romani.

— Io! Stai pur sicuro. Ammazzarsi per amore o per debiti, giacchè la gente si ammazza quasi sempre per queste due cause? Per amore? Se una donna non ti vuole, ve ne sono sempre troppe dispo-