Pagina:Oriani - Vortice, Bari, Laterza, 1917.djvu/83

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di solitudine, forse meno dissimile fra loro che non paia. Egli vi era passato poche volte, quasi sempre con un gruppo d’amici, in una di quelle giornate, nelle quali, per ammazzare la noia della solita passeggiata per lo Stradone, l’unico passeggio pubblico della città, si cercava di commettere qualche facile stravaganza.

Ma alla prima svolta, dove un viottolo sfiancava lungo il nuovo muro del cimitero, si arrestò; una voce sottile canterellava la celebre e delicata romanza della Mignon:

Non conosci il bel suol
che di porpora ha il ciel...

l’opera data in quell’inverno al teatro comunale. Era una voce di uomo, incerta nelle parole e nell’aria, che pareva fremere di una curiosità triste. Si turbò; istintivamente gli era ritornato nella memoria che lungo quel sentiero, negli anni andati, erano avvenuti parecchi suicidii, tutti di giovani operai, forse spaventati dalle crudeli esigenze della vita.

L’ultima volta erano stati due ragazzi di appena vent’anni, morti insieme avendone avvisato prima gli amici, che non avevano voluto crederlo e non seppero poi indovinarne il motivo. Si erano ammazzati colla stessa rivoltella, l’uno dopo l’altro, ed erano rimasti sul sentiero col cranio aperto, sanguinolenti, vestiti cogli abiti di festa, quasi per una suprema ironia.

Ma la voce ripeteva sempre la stessa domanda di Mignon, povera abbandonata nel freddo di un paese nebbioso, che risognava i trionfi abbaglianti del sole sulla marina napoletana, dove tutto è musica ed incanto, festa ed oblio. E a pochi passi, nell’ombra di un albero piegato a capanna, vide