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Ma che importa? L’importante è il comportamento che ne deriva: i fatti, come si dice, ovvero che non ci sia niente di gratuito in quello che facciamo.
Dio mio, è proprio così: non c’è niente di gratuito. Le parole!
Mi hai trascinato in un bel pasticcio. Io me ne stavo qui a leggere in pace, a lasciare andare i miei pensieri. Ora invece li devo mostrare, confrontare ai tuoi. Devo mostrare che qualcosa passa attraverso queste cose, qualcosa che passava già questa è la vera fregatura, questo è il rumore degli uomini, e l’energia già passata, e la teoria rispetto a cui è ora necessario sapere, di non sapere.
Ora non passeranno altri sette anni (vedi che numeriamo? Anzi, contiamo, che vuol già dire "contarsi", n’est-ce pas? O meglio, come scriveresti tu: nespà?) perchè, con o senza bollo (il "franco" si è già perso tra i soldi e il francese), la lettera arrivi a destinazione. Ma, che arrivi o non arrivi (una lettera arriva sempre a destinazione, dice l’uno, o non può arrivarci mai, dice l’altro), il messaggio era già partito ed è proprio per me (te?). A patto che non si sappia di sapere.
E il qui? Ecco, una verità esiste, eccome, la sentiamo al lavoro attraverso di noi, ma, appunto, non essendoci dato saperla, sappiamo però bene dai suoi effetti dedurne un comportamento: per questo ci ribelliamo (oh, che bella parola, ce l’eravamo scordata!) a ciò che non va, senza alibi relativistici, e una possibilità ci appare la possibilità. Qui so ciò che non so.
Ora mi fermo, l’imbarazzo ha la meglio. E’ che la prima volta non parlavi a me, mentre la seconda sì, e allora io non so rispondere. Vorrei piuttosto dirti che il monumento a Sesto ha un che di aereo, ricordo del volo, uccello dalle ali staccate, o aquilone a pezzi? O addirittura angelo schiantato al suolo e conficcato, ma per sempre (monumento), nel terreno (sul limite, qui): angelo maledetto, dunque? angelo che si è perso, che non può vivere qui, che non sa vivere sulla terra.
Ti prego, scrivimi ancora e parlaci delle tue opere.
Aspetto


Elio
Fara d’Adda, 31 dicembre 1990




Caro Theo,


la tua lettera mi è arrivala soltanto ieri (10 giorni).
Ancora una volta ti ho sentito presente, posso contare su di te - "contarsi" hai scritto - ma ti dico subito che voglio far precedere la mia risposta (può esserci una vera risposta?) dalla mia prima e più autentica reazione: un lavoro. Dar un colpo di timone alla nostra corrispondenza, mandandoti il mio dodicesimo figlio.
Vestirlo (è già fatto, manca solo di una confezione) mi richiederà un po’ di tempo e per questo prenditi intanto questa mia annunciazione e ti prego di rispondermi solo quando e se costui sarà arrivato a destinazione. So bene che i messaggi imperiali non possono per definizione farlo, ma che vuoi, vivo, viviamo nell’illusione di una comunicazione.
Annunciazione. Non sei tu ad aver parlato di angeli?
Subito mi son venuti in mente due grandi creatori di questi strani animali. All’ombra del primo, l’altro praghese a cui accennavo nella Dichiarazione, risento echi mitteleuropei infantili; per madre (di origine tedesca del Sud), per storia (ho visto la guerra e più, l’ho sentita, negli occhi di chi mi ha messo


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