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gnora Sofizza e il signor Dinu e il «sottoprefetto»; Berla, l’ebreo dell’osteria e Tanase Scatiu, che era venuto a cavallo. Mancava solo Sascia che era dovuta rimanere a Ciulnitza a tener compagnia alla signora Diamantula. Tutti guardavan l’orologio. «Mancano ancora dieci minuti, mancano ancora sette minuti, per l’arrivo del treno» gridavano i bambini nella sala di aspetto come in una fiera. «Mancano tre minuti», la campanella sonò. In fondo all’orizzonte si vide la locomotiva divenir sempre più grande, finche apparve intera.

— «Si tirino indietro, Signori!» — gridò il lampista della stazione.

Il treno arriva velocemente e si ferma di botto davanti al capostazione come un cavallo ammaestrato. Tutti i cuori battono violentemente, i bambini colla mano alla bocca, si fanno indietro di un passo, impauriti dal rumore: Tutti domandano: — . «Dov’è? dov’è? — Ad uno sportello del treno, un viaggiatore impaziente chiama a tutta forza il conduttore. Prima che questi arrivi, quelli radunati sotto la tettoia riconoscono il loro Matei e si affollano allo sportello.

— «Matei! figliuolo! conduttore venga ad aprire, conduttore! Giovanni, prendi i bagagli!...».

In mezzo a questa confusione e a questo chiasso, il viaggiatore si slancia nelle braccia di quelli che lo aspettavano, baciando ed abbracciando a destra e a sinistra.

— «Figliuolo mio, fratellino, caro Matei», — s’ode esclamar da tutte le parti. Matei, stordito, si slancia verso il vagone e afferra i bagagli di altri signori, che protestano. Tafta, il garzone, solleva da sè solo due casse e le depone con cura sul carro dei buoi. Matei seguita ad abbracciare a destra e a sinistra, fermandosi di tratto in tratto a domandare: — «E tu chi sei, birichino?» — fra gli scoppi di risa delle mamme rispettive. Alla fine si avanza colle braccia aperte verso un povero diavolo, facendo l’atto di baciarlo con gran meraviglia della vittima e nuovi scoppi di risa dei presenti.

— «Ce ne sono ancora?» — grida poi, pronto ad abbracciar l’universo.

Finalmente il vecchio Dinu, asciugandosi le lagrime venutegli fuori dal gran ridere, lo prese sotto il braccio:

— «Su, giovanotto, andiamo!».

Le carrozze si avviarono per la medesima strada, allineandosi in corsa l’una dopo l’altra. Ma, non appena Matei rimase solo in carrozza col signor Dinu, l’allegria scomparve.

— «Come sta la mamma?» — domandò con impazienza.

— «Sta un po’ meglio — rispose il vecchio scotendo il capo — . Ora che finalmente sei arrivato, son certo che le torneranno le forze».

Tacquero l’uno e l’altro.

— «Per bacco — disse il signor Dinu — credevo che non tornassi più! Starsene sei anni all’estero senza tornare a casa!».

— «Proprio così, zio Dinu, ma volevo finirla una buona volta... Ora spero di fermarmi e non muovermi più per un pezzo. Sono stanco di viaggi. Voglio vivere colla mamma in pace e quiete».

— «Non avrai a viver molto con lei».

Matei si volse a guardar lo zio. Il vecchio era lì lì per piangere e non disse più una parola. Anche lui, Matei, sentì il cuore empirglisi di dolore e le lagrime spuntargli sulle ciglia... Tacquero di nuovo l’uno e l’altro.

— «Noi ce n’andiamo» — disse il vecchio dopo qualche minuto, bat-