Pagina:Ortiz - Letteratura romena, 1941.djvu/132

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tendogli colla mano un ginocchio — «Tocca a voi di vivere, ora! Come quest’erbe secche, noi siamo cresciuti ed abbiam fatto il nostro dovere; ora tocca a voi. Buona fortuna!».

Uno slancio irreprimibile di simpatia spinse il giovine ad afferrar la mano dello zio ed a baciarla. Il vecchio, più commosso di lui, respirava con difficoltà, guardando la campagna.

— «Vedi questa terra? m’ha fatto sudare a coltivarla; ho lavorato tutta la vita per lei, spesso senza che mi ricompensasse di tanto lavoro; mi sono adirato e l’ho maledetta, ma non mi allontanerei da essa per nulla al mondo. Spero che lo stesso farai tu, e che non partirai più di qui. Qui siam nati io e tua madre e i nostri genitori e i padri dei nostri padri...

Un silenzio di alcuni istanti permise al vecchio di padroneggiar l’emozione che gli impediva di parlare, e continuò:

— «Tu sei il solo erede maschio della nostra famiglia. Resta qui, su questa terra che fu de’ tuoi maggiori, non muoverti di qui e non la dare a coltivare a nessuno, non affittarla, chè i fittavoli son come i tarli... hai capito che voglio dire?»

— «Sì, zio».

— «E sarai felice, sull’onor mio. Non avrai i caffè di Parigi e i loro «mazagrans», e neppure gli aranci della «bella Italia», ma sarai uomo nel più nobile significato della parola, e nessuno ti sonerà l’armonica all’orecchio e non pesterai i calli a nessuno... Capisci che voglio dire?» — domandò di nuovo sorridendo e alzando la voce.

— «Sì, zio; guarda intanto che bellezza di granturco!».

— «Sì».

Infatti giungevano alla barriera del guardiano, all’orlo del campo coltivato a granturco. Il sole si era alzato sul cielo e la calura cominciava ad avvolgere la campagna nel suo respiro infocato. Un colorito eguale di un grigio triste si stendeva sull’erba, sul terreno, sui seminati, e solo qualche garofanetto selvatico sorgeva qua e là svelto dagli strati di rena deposti dalle inondazioni recenti della Ialomitza. Matei si sentì di botto tornato in dietro di dieci anni. La distesa uniforme della pianura col fiume accanto gli apparve all’improvviso di una attrattiva ineffabile. Niente di quanto fino ad allora aveva visto ne’ suoi viaggi poteva starle a paragone. Il guardiano aperse il cancello nel silenzio delle cose, augurandogli in fretta: — «Sii il benvenuto, Signore!», e rimase in piedi col berrettone di pelo in mano, finché tutte le carrozze non furono passate. Matei volse il capo verso di lui:

— «Zio, non è per caso Toader Croitoru?».

— «Proprio lui, — rispose il signor Dinu, soddisfatto che Matei l’avesse riconosciuto — te lo ricordi?».

— «Come potrei non ricordarmelo? Non s’è cambiato affatto. Fa sempre il guardiano?»

— «E che vorresti che facesse?» — - domandò lo zio sorridendo.

«Sicuro! La carriera di guardiano è un po’... ingrata, non si fanno in essa rapidi avanzamenti!»

Il vecchio rideva.

— «Sta’ sicuro, giovanotto, che è più felice di te! Ha tutto quello che gli serve e nessuna preoccupazione».

— «Si vede che ha bisogno di poco per esser felice!»

— «Questa è la miglior filosofia» rispose il vecchio, come se dicesse: «A questa conclusione volevo che venissi!».