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perla. Nel mezzo della stanza si trovava un treppiedi d’abete, su cui eran poggiati dei candelabri d’ottone colle loro candele ed un paio di smoccolatoi di latta, coi quali una graziosa zingarella smoccolava di tanto in tanto le candele per far loro dare più luce.

Finalmente, verso le dodici e mezzo, secondo l’ora turca, gli invitati incominciarono ad arrivare. Il primo a salir le scale della casa di Andronache fu il capitano Costache Cărăbuș, bel giovane, ma senza spirito e corrotto fino alle midolle, amico intimo e compagno di tutte le dissolutezze del «beizadeà» (1) Costache. Dopo di lui giunsero il Gran Palafreniere Dimache Pingelescu uomo che si sforzava del suo meglio a non ismentire (2) il suo nome; il Tesoriere Starnate Birlic (3), il Maggiordomo Ioniță Maturică (4), il Coppiere Dimitrache Mano-Lunga ed il Bano Nichita Kalicewski (5). Ultimo arrivò il «beizadeà» accompagnato dal Cancelliere Iordache Zlatonit, personaggio ben noto per il suo spirito mordace e stravagante.

Quando gli ospiti si furon sdraiati sui due letti, una zingara sfarzosamente abbigliata e con le spalle coperte da una corta mantellina di pelliccia dal collo rialzato, si presentò con un vassoio di confetture d’ogni sorta. Era seguita da un’altra zingara che portava un vassoio pieno di bicchierini di liquor di menta e di alcuni piattini di mandorle sgusciate o di ceci abbrustoliti. Subito dopo entrò il caffettiere del «boiaro» abbigliato con una specie di pastrano di drappo nero ricamato in oro, ma senza maniche per lasciar vedere le braccia bianchissime attraverso la camicia di finissimo velo di seta, ornata di leggieri merletti all’ago. La sua vita svelta e flessibile era avvolta in uno scialle di seta a fasce diversamente colorate, i cui capi ricadevano graziosamente sull’anca della gamba sinistra. I pantaloni ampi, alla turca, di seta color ciliegia ricamata d’oro, le pantofole scarlatte ed il gran fez rosso dal fiocco nero messo con molta civetteria un po’ di traverso alla moda dei fanarioti (6), facevano di questo giovane un Ganimede, che avrebbe potuto eccitar la gelosia degli Dei dell’antico Olimpo di Omero. Egli avanzava lentamente, portando un vassoio, sul quale si trovavano, nelle loro coppe di filigrana, molte tazze piene del più denso e più profumato caffè d’Arabia. Dopo di lui entrò l’accenditore dei «ciubùc» (7) del «boiaro» con delle pipe di legno di pruno profumato al gelsomino, che, riempite del più fine tabacco, sprigionavano una nuvola di fumo profumato. Il successivo entrare di codesti domestici formava uno spettacolo pittoresco. Conoscendo a perfezione le re-

  1. «Beizadeà» (dal turco «beyzadé») vuol dire «figlio del Principe».
  2. «Pingelescu» rappresenta uno di quei nomi caricaturali allusivi al carattere del personaggio, di cui han tanto usato ed abusato i romanzieri del primo Ottocento. «Pingeà» infatti (pl. «pingéle»), dal turco «pengé», vuol dire «mezza suola» ed il verbo «a pingelì» (lett. «risolare») si usa nel senso figurato per «ingannare».
  3. Termine di giuoco; asso.
  4. Da mătură=scopa, granata.
  5. Da calic=pezzente. Allusione all’«avara povertà» dei nobili pòlacchi.
  6. Greci di nobile famiglia abitanti il quartiere di Costantinopoli detto del «Fanàr» (fanale), che, per la loro conoscenza delle lingue (interdetta dal Corano ai veri credenti), occupavano alte cariche alla corte del Sultano ed eran mandati nei Principati rumeni di Muntenia (Valachia) e Moldavia come governatori.
  7. Pipe orientali dalla cannuccia molto lunga.