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accanto all’angelo che piange, reclama i suoi diritti. I vicini si son radunai e mentre le mani operose delle fanciulle ricamano, si fanno scherzi, si raccontano fiabe e, spesso, l’amore nasce alla tremula luce dei ceri della morte.

Quando la raccolta del granturco è ormai nel granaio e si tratta solo di sgranarla, giovanotti e ragazze si radunano insieme, e, tutto quanto può dar la musica o il talento dei narratori vien messo a contributo per abbellire la festa che corona una così lunga e dura fatica. In queste «șezători» si prodigano spesso tesori di fantasia ben superiori a quelli che si spendono (e si spengono) nelle officine letterarie degli editori.

È tardi. Nella casa del contadino, l’uomo dorme. I bambini riposano sul focolare ancor caldo. Ma la luce filtra ancora attraverso i vetri delle minuscole finestre. La donna è al suo posto. Sola co’ suoi pensieri, co’ suoi dolori, resta su a lavorare, confessando all’ago tutti i segreti del cuore. È l’origine di un altro aspetto dell’arte popolare romena, che, sotto falsi nomi di «arte polacca», «arte dei gorali», «arte magiara», «arte di Transilvania», più che sotto il suo nome vero di «arte romena» ha riscosso oramai l’ammirazione del mondo intero.

(Trad. di Ramiro Ortiz).


Prima di passare allo studio della letteratura romena contemporanea, converrà occuparci di tre autori che, pur essendo vivi e vegeti, si ricollegano alle correnti della «Junimea» (Brătescu-Voinești) e del «Semănătorul» (Mihail Sadoveanu ed Octavian Goga). Ion Brătescu-Voinești (n. 1868), autore di quei veri capolavori novellistici che son «Nicolino Bugia», «La famiglia degli Udrești», «Pana Trăsnea il Santo», ecc., è uno scrittore delicato, cesellatore pieno di grazia, un po’ settecentescamente idillico, classico nel taglio impeccabile della novella, parco negli ornati, signorile in tutto, un po’ pessimista nella concezione della vita, poeta dei deboli e dei vinti, cantore della bontà e delle pure gioie della famiglia. Il suo pessimismo ha talora qualcosa di quello del Maupassant («Une vie») e del Verga dei «Malavoglia», più spesso dei Pascoli, giacche anche per lui la poesia è la lampada «ch’arde soave» nei cuori e rischiara il gran cerchio d’ombra in cui ci moviamo. Simpatica nelle sue novelle è la macchietta dell’italiano: idealista, laborioso, amico indomabile, che consola sè e gli altri col perpetuo canto e i dolci mesti trilli del suo mandolino. Poeta squisito, ma in tono minore. Narratore di razza, eminentemente «boier», ma poco fecondo; cesellatore, non scultore; miniatore, non pittore. (Tengo a dire che stimo l’arte del cesello e quella della miniatura, arti nobilissime per nulla inferiori a quelle della scultura e della pittura).