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mano. Il maestro lo conosceva. Accanto a lui altri due giudici, sempre del medesimo tribunale, scrivevano i voti in certi formularii stampati. La stanza era piena d’uomini che squadravano gli elettori con sguardi diffidenti.

Herdelea s’avvicinò alla tavola col cappello in mano e il sorriso sulle labbra. Il giudice presidente del seggio lo fissò con uno sguardo interrogativo.

— Voto per il signor candidato Beck! — disse il maestro, appoggiandosi colla mano all’orlo della tavola e guardando il giudice negli occhi come avesse voluto pregarlo di ricordarsi bene e d’intervenire in suo favore il giorno del processo. Gli uomini dai formularii registrarono il suo nome e il presidente domandò indifferentemente e stanco:

— Appresso?

Il maestro si trasse un po’ da parte per far posto ai compagni:

— Tutti di Pripàs — mormorò al giudice che pareva non ascoltasse ed anzi si grattava dietro l’orecchio colla matita, guardando i colleglli che registravano i voti. Alle sei di sera il seggio proclamò eletto il candidato Bela Beck, a maggioranza di cinque voti.

(Trad. di Ramiro Ortiz).


Cesar Petrescu, autore delle deliziose «Lettere d’un piccolo proprietario di campagna» (Scrisorile unui răzeș) (1) e novelliere fecondo, dallo stile snello e fluido, stranamente misto però di trascuratezza giornalistica e di immaginismo modernista, ha pubblicato, oltre ad alcuni volumi di novelle, «La strada tra i pioppi» (Bucarest, a Cultura Națională», 1928) «L’uomo del sogno» (Craiova, «Ramuri», 1926) tradotto in italiano da Gioacchino Miloia (Roma, Istituto per l’Europa orientale, 1929); «Taccuino estivo» (Craiova, «Ramuri», 1928); i seguenti romanzi: «Sinfonia fantastica» (Bucarest, Ciornei, 1929) trad. in italiano da Augusto Garsia (Perugia-Venezia, «La Nuova Italia», 1929), «Calea Victoriei» (Bucarest, Ciornei, 1930), «Oscuramento» (due grandi volumi sullo stato d’animo determinato in Romania dalla guerra europea e dalle sue immediate conseguenze), «Il ballo meccanico» (Bucarest, Cartea Românească, 1931), «Partito senza lasciar l’indirizzo» (Bucarest, Ciornei, 1932), «Luceafărul» (Bucarest, Ciornei, 1934-36) interessante ro-

  1. Răzeș (dall’ungherese răszes) o, come pur si dice moșnean (dall’albanese mosvë, «vecchio») vuol dire «contadino piccolo proprietario che coltiva il suo campo» a differenza del clăcuș (dal srb. tlaka «giornata di lavoro che il contadino servo della gleba doveva al padrone sulla tenuta del quale viveva e dalla quale non gli era lecito allontanarsi»), in Moldavia vecin, in Transilvania iobag e un po’ da per tutto șerb. Ora i răzeși o moșneni si distinguono appena dagli altri contadini, ma una volta costituì, vano una vera nobiltà rurale, che rimontava e rimonta a tempi molto antichi.