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Pagina:Ortiz - Letteratura romena, 1941.djvu/165

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manzo in tre volumi sulla vita di Eminescu. Scolaro da principio del Sadoveanu, nelle sue ultime cose si differenzia da lui per un sentimento inquieto del tragico e del misterioso che ha talvolta dell’allucinazione e ne fa una personalità a parte della più grande importanza.


Da «L’uomo del sogno» di Cesar Petrescu.


Dalla novella LA NEVE.


Rimasti soli, tutti e due si evitaron collo sguardo. Lisetta lisciava col palmo della mano la tovaglia, aspettando qualcosa, una parola, il primo segno della riconciliazione. Giovanni Sârbu, che quasi si arrostiva le mani appoggiate contro la stufa di maiolica, la guardò attraverso le sopracciglia aggrottate come un nemico, poi volse in fretta gli occhi sul quadro dirimpetto, una cattiva litografìa rappresentante Ofelia riversa sull’acqua coi capelli sciolti.

Quando ne staccò lo sguardo, Lisetta piangeva. Senza singhiozzi, col capo leggermente gittato all’indietro, colle mani aggrappate al tappeto che copriva il divano, colle labbra strette. Le lagrime scorrevano silenziose una dopo l’altra dai suoi occhi sgranati, scivolavano in perle rotonde sulle guance, gocciolavano sulla camicetta bianca; e questa disperazione muta, senza agitazione, sciolse d’un tratto, come un’ondata rovente, il cuore di Giovanni Sârbu.

Quasi senz’accorgersene, si staccò dalla stufa e le prese le tempie tra le mani, asciugandole coi baci le acri lagrime:

— Povera Lisa, Povera Lisetta mia...

Il braccio di Lisetta gli cinse il collo con disperazione, gli si attaccò col viso al viso, così vicino che sentiva battere le sue ciglia come una carezza muta e sottomessa. Nel petto di lei compresso contro il suo, i battiti del cuore pulsavano rapidi sotto il seno schiacciato dall’abbraccio: povero battito d’un essere spaventato, annidatosi in quel riparo da dove lui voleva scacciarlo... Tacevano, mentre ad ambedue le parole avrebbero potuto apportare il balsamo desiderato. Ma le parole non venivano. Non sapevano più parlarsi, loro due. C’era tra loro come l’ombra d’un bambino morto. Volle parlare, ma non riuscì che a balbettare: Lizon, Lizon!...

E nuovamente tacquero.

La strinse più forte per scacciare i tristi pensieri. Ma la donna si staccò lentamente per ascoltare. S’udivano i sonagli d’una slitta che scivolava sulla neve verso l’angolo della via.

— Come allora! — disse lei rabbrividendo e attaccandosi nuovamente alle sue labbra quasi per bergli il respiro.

«Come allora»; come in quel pomeriggio in cui per la prima volta eran giunti in quella città. La neve, morbida come adesso, era caduta da poco sulle case. La città silenziosa pareva il rifugio agognato per il loro amore. Non c’era pericolo d’imbattersi in un conoscente. Non c’era nessun amico da evitare. Nessuno conosceva la loro storia. Immaginavano ormai la vita come staccata dal resto del mondo, vissuta solo da loro.