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L’occhio m’era di spazio affamato,
m’ardeva folle la sete del mistero,
ed ho osato chiedere all’Abisso
una manciata del suo granaio colmo.

Volevo saziarmi l’anima, e di nuovo
per strade lunghe d’oro camminare
verso i margini della terra, ad occidente.

Radioso volevo giungere come un messo,
ma il confin della terra dà nel vuoto
ed ivi son restato, eterno pellegrino.

(Trad. di Ramiro Ortiz).


La poesia di Nichifor Crainic ricorda talvolta gli accenti maschi e melanconici della poesia carducciana. Le «Terzine per gli amici» e le «Terzine patriarcali» soprattutto rappresentano l’equivalente (non più che l’equivalente) di «Davanti San Guido» e dell’ «Idillio maremmano». Persino nelle lodi del vino, dell’amicizia e nel modo di rappresentar la figura di Gesù (nei meravigliosi distici di «Gesù tra il grano») si sente un’anima carducciana, forte, ottimista, strettamente legata alla nazione che gli ha dato i natali, adoratrice della tradizione, qua e là visibilmente melanconica. Nichifor Crainic ama la vita e non può pensare alla morte che con dolore:

Queste vette d’abeti,
che dal cielo fan cadere la resina,
queste viti che si piegano,
verde cascata, oltre il muro;
io domani non le vedrò più,
domani io non le vedrò più!

(Da «Elegia» Trad. di Ramiro Ortiz).


Le pianure dalle linee ondulate, dai fertili solchi, in cui il meriggio sembra addormentarsi stanco all’orizzonte e giacere nel caldo dell’estate nell’infinito della sua indeterminatezza, gli stan sempre davanti agli occhi, gli suggeriscon quadri di paesaggio che rivaleggiano con quelli del Grigorescu:

Portando carichi di spighe passan carri pesanti
coi buoi muti lungo le strade polverose
e la «dóina» che nel fuoco del cielo si dilegua
mi torna in mente cogli anni della fanciullezza;
(«Pianure natie»).