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mante con lungo lavoro, si accorga che, senza la luce dell’astro caldo e radioso, la sua gemma è scura come un granello d’argilla; si tratta sempre d’una proiezione nel cosmico di un fatto naturale, che finisce per diventare un simbolo. Ineguale nello stile, qua e là raffinato, spesso trasandato e prosaico, G. Talaz può definirsi col Lovinescu (1) «un poeta descrittivo delle forze ctoniche».

Riportiamo di lui due belle strofe:

Mi traversano e legano
nervature di fiamma
e tutta la mia creta
si strugge nel fuoco.

E per che in noi splendori,
o immensità, tu innalzi,
e il cielo canti in me
un inno alla sua luce.

(Da «Purificazione». Trad. di Ramiro Ortiz).


Eloquente, ed anzi di tanto in tanto retorica, ossessionata dalle idee di «infinito», «caos», «nulla», «voragine», «vuoto», «sogno», la poesia di George Gregoriàn (n. 1886) è più filosofica, ma meno moderna di quella del suo fratello d’arte Talaz. Il Dragomirescu, facendo la solita confusione tra fondo e forma, la definisce così: «Dotato di una profondità innegabile, che ha la sua radice nella regione mistica del nostro spirito, il pessimismo del Gregoriàn si differenzia da quello di Eminescu per una sfumatura di psicologismo patetico e di serenità olimpica, che gli assicurano uno dei primi posti nella nostra poesia contemporanea». Il che sarà vero, ma riguarda la materia, non la forma poetica del Gregoriàn, che, come abbiam detto, è più che altro retorica, nel senso tutt’altro che peggiorativo che a me piace dare a questo aggettivo.

Un bel brano di «eloquenza» se non di poesia pura è il sonetto intitolato «Nel nulla», di cui tentiamo dare una traduzione:

NEL NULLA

di George Gregorian

Sull’alba ho calzato sandali d’acciaio
e senza meta in via mi son messo
per strade lunghe d’oro, e son ristato
ai confini della terra, sotto il cielo.