Pagina:Ortiz - Letteratura romena, 1941.djvu/201

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Sbiltz. — Voglio strapparti dalle braccia del più vile dei plagiatori!...

Tofana. — Per te neppure Omero è originale.

Sbiltz. — Certo. Ha plagiato anche lui le leggende del popolo greco, che a sua volta...

Tofana. — Basta! A sentir te, tu solo sei originale.

Sbiltz. — Così è, io solo, perchè sono il padre di un mondo nuovo!

Tofana. — Dimenticavo che lavori a un’opera monumentale!

Sbiltz. — Da dodici anni!

Tofana. — Senza averne scritto neppure un rigo!

Sbiltz. — Io, prima di scrivere, penso.

Tofana. — E tu pensa, pensa!

Sbiltz. — Eh, eh! Quando sarò morto si vedrà che cosa valevo!... Tu, bambina, che ne sai? Mi dispiace che sii del mio stesso sangue... Tu sei una disgraziata che da nostro nonno hai ereditato solo quanto in lui c’era di peggio. L’intelligenza si vede che l’ha lasciata a me per testamento... Sbiltz è stato un vero uomo... Non per nulla si chiamava così (1). Accalappiacani come lui non se ne son più visti... Disgraziatamente non ha avuto fortuna... Quando era lì lì per esser promosso boia, la pena di morte fu abolita...

Tofana (seccata s’avvicina alla finestra). — Ancora mi secchi con queste chiacchiere?... Finiscila!... Non credo sia un grande onore discendere da un accalappiacani.

Sbiltz. — Protesto. Nostro nonno esercitava il suo mestiere per vocazione, come un artista fa dell’arte per l’arte! Lui non s’interessava di quanti slot (2) guadagnava per ogni cane che accalappiava, ma si divertiva un mondo al divincolarsi dell’animale preso al laccio!

Tofana. — Basta!

Stiltz. — Sei sublime quando vai in collera... Gli stessi sguardi fulminei del nonno... Il genio della morte! Si vede che nelle tue vene scorre lo stesso sangue, bambina... Va bene, ma ora calmati... Io non sono un cane.

Tofana (torna allo scrittoio, e, dopo aver cercato nella borsetta, gli dà alcune lire). — Prendi!

Sbiltz. — Che vuol dire?

Tofana. — Conosco il giuoco... Abbai, per poi chiedermi del denaro. Prendilo e finiscila...

Sbiltz. — Solo tre lire?

Tofana. — Non ho altro.

Sbiltz. — È un vero affronto. Sembra che tu m’abbia messo sotto tutela...

Tofana. — Non dimenticare che me lo tolgo dalla bocca.

Sbiltz. — Che me ne importa?

Tofana. — Deve importartene. Se non ti va, lavora!

Sbiltz. — Solo le bestie lavorano.

Tofana. — Sarei curiosa di sapere che faresti senza di me.

Sbiltz (compassionevole), — Bambina!... Tu vivi ignara del mondo e l’ignoranza è sempre superba. Tu credi che io viva perchè vivi tu?... Non dimenticare che ho dieci anni più di te e di conseguenza sei tu che sei

  1. Sbilț o ghilț si dice in romeno quel laccio di fil di ferro di cui si servono gli accalappiacani.
  2. Moneta polacca.