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che queste mie «parafrasi» (non traduzioni), lasciando andare che non rendono se non infitesimamente l’armonia del verso (che non consiste solo nel ritmo, ma spesso nel colorito musicale delle parole stesse) non sono nè possono essere altro che delle «approssimazioni», che, come tali, non rendono che una piccola parte della bellezza dell’originale. Della quale bisognerà pur contentarsi quando non si sa il romeno, e queste mie note informative son destinate — è inutile dirlo — proprio a quelli dei miei lettori che il romeno non conoscono.

Ma di Balthasar credo di dover ancora citare qualche cosa:

FLAUTI DI SETA

di Camil Balthasar

Sai ancora tacere?
Sai discendere
per scalini bianchi e per onde color d’autunno?
Nel giardinetto che circonda l’anima
le mimose dicono con melodie gialle che verrai.
I vetri azzurri e verdi, le finestre antiche,
aspettano la luce del tuo affacciarti.

Se ancora sai tacere,
se ancora puoi cantare,
verrai a piangere con me,
io, gli occhi tuoi; tu, il mio cuore.

Se ancora sai piangere,
andremo nel giardino della sera,
e, in un pianto con macchie di sangue,
piangeremo quel che non hai mai pianto altra volta.

E taceremo poi,
e ce n’andremo,
io coi fiori morti degli occhi tuoi,
tu, con in braccio un capriolo morto: il mio cuore.

(Dal volume «Flauti di seta». Trad. di Ramiro Ortiz).


Come si vede, il «leit-motiv» della morte continua, nella poesia del Balthasar, anche nei «Flauti di seta». In seguito, la sua ispirazione si calma in un’estasi siderale che ravvicina, in certo modo, a certi motivi del «dolce stil novo», di cui l’autore non conosce — naturalmente — neppur l’esistenza, ma che probabilmente, per via di questi tre elementi: pesia della morte, visione apocalittica del mondo, e sublimazione astrale della