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centrazioni nella tua immortalità». Citiamo alcune strofe della prima maniera:

Mi desterò nel colmo della notte
e cercherò le mani sorelle,
e soffrirò udendo
come fuori ritornano, con vagiti di litanie, le gru.
E poi che non potrò più piangere,
la bocca mi s’empirà di caldo e di sangue.
Verso il mattino, quando i malati si levano
con gemiti e domande a mezza voce,
dormirò in pace,
colle mani incrociate sul petto, a preghiera.

(Dal volume «Ultima scrisoare din sanatoriu». Trad. di Ramiro Ortiz).


Poeta in tono minore, crepuscolare, ma che ha saputo trovare accenti tutti suoi, originali, che lo fan riconoscer tra mille:

SCENDEVA IL CREPUSCOLO

di Camil Balthasar

Scendeva il crepuscolo su strade fuori mano;
su giardini scendeva il crepuscolo e impallidiva.
Tu camminavi, cercando per antichi viali,
tra le foglie gialle, il tuo cuore.

Camminavi colla piccola bara delle tue mani,
colle campane delle tue palpebre,
cercando il tuo cuore
nelle aiuole crepuscolari.

Se avessi saputo cantare,
avresti ritrovato il tuo cuore;
l’avresti ritrovato nel tesoro giallo del crepuscolo,
nel color di rame dell’autunno.

E se avessi saputo piangere,
avresti ritrovato il tuo cuore
nell’ultima gocciola di sangue
del sole che tramontava.

(Trad. di Ramiro Ortiz).


Tradurre i poeti è impresa disperata. Come dire in italiano «amurgit», che denota l’azione del crepuscolo? Qualcosa insomma come «ingiallito», «velato», «oscurato», «rattristato», o tutte queste nozioni prese insieme? Resta dunque inteso