Pagina:Ortiz - Letteratura romena, 1941.djvu/247

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La donna. — Aiutami!... Ti aiuto... te lo do io nelle mani, morte... (silenzio).

La voce. — Giovanna, chiudi...

Il malato. — Le campane non sonau più...

La donna. — Sssst!...

Il malato (debolmente). — Le campane non suonan più... Non gridano... Non gridan più... Non c’è più luce... Perchè non suonan più le campane?... Perchè non gridan più?... Perchè non c’è più la luce?...

La voce. — Guarda!...

La donna. — Sssst!...

Il malato. — Mmma...

La donna. — Su!... Vieni!...

Il malato. — Ah!...

La voce (terrorizzata). — È entrata... La donna. — Ah!...

(Si butta sul malato col guanciale e glielo gitta sul viso. Pallida e tremante, lo preme con tutta la sua forza... Sale colle ginocchia sul corpo del malato e preme, preme, come impazzita... Sotto di lei, il corpo del malato si divincola debolmente, un attimo, due... si dibatte ancora una volta.... rantola... trema... e rimane stecchito).

La voce (dopo un momento). — Giovanna, Giovanna, perchè non hai chiusa la finestra?

(Trad. di Ramiro Ortiz).


Da «Atto veneziano» di Camil Petrescu.

Atto III - Scena I.


Alta (assai buona, calma, colla medesima voce del principio dell’atto). — Oh, no! Sei stato crudele..., sei stato indegno, Cellino... E non lo avevo meritato, io che ti avevo sacrificato tanto. (Racconta in modo naturale, con commozione infantile, standogli accanto): Ricordo una dolce sera di primavera... Veniva dal mare un venticello fresco, che rapiva l’anima e la faceva sognare così come rapiva e faceva svolazzare il tuo mantello. Era un sabato sera... Le botteghe eran chiuse e i lungomare spazzati. Le ragazze tornavan dal lavoro con dei garofani rossi nei capelli. Era Sagra a Santa Ma ria Formosa e si recavano al ballo. Ed io ero sola... tanto sola... Me ne stavo appoggiata a una bitta del lungomare cogli occhi perduti all’orizzonte. (Spiegando commossa): Avevo ricevuto notizie di mia madre da un marinaio. Ero triste e mi sembrava dì non aver nessuno che fosse mio e di non esser di nessuno. Sognavo un tuo sguardo, un tuo sorriso. «Che vuol dire un sorriso?» — mi dicevo — «Non ha nessuna importanza. Lo gitti senza pensarci al primo che passa». Comprai cogli ultimi soldi che mi restavano un mazzolino di violette e t’aspettai accanto alla Casa del Mare. Usciti con al braccio la piccola Donna Dianti ed alla... (s’interrompe)...le riconobbi il neo alla spalla sinistra. Quando mi giungesti vicino, ti offersi i fiori: «Prendili, nobil cavaliere, prendi questi fiori... e fresca come loro ti resti sempre la bocca della donna che ami, fino alla fine dei vostri amori!». (Tornando nervosa per il ricordo di quell’ora): Ed aspettavo che sorridessi (stanca).