Pagina:Ortiz - Letteratura romena, 1941.djvu/248

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Fingesti di non vedermi (si trattiene), mi scostasti dalla tua strada come qualcosa che t’impedisse il cammino. Restai di pietra. (Con accento strano, contratta in volto): «Cavaliere, prendeteli» — insistetti — «vi porteranno fortuna, vi faran distinguere la via della vita da quella della morte... (con accento tragico) tra la vita e la morte!... La piccola donna Dianti me li prese di mano. (Cogli occhi umidi): Mi venne da piangere e volli baciare la mano, l’esile mano di bimba (trasale in tutto il suo essere): Ma le strappasti di mano i fiori e li buttasti nel canale. (Con occhi vitrei): Tra la vita e la morte!... (spaventata essa stessa da queste parole): Questa è la sera della tua morte, Cellino!...

Cellino (che ha ascoltato come in sogno, debolmente). — Alta!...

Alta (pallida). — L’ho attesa, questa sera, l’ho attesa a lungo, e l’ho preparata! Era necessario che mi sollevassi dal fango in cui ero caduta... Al teatro di San Demetrio, a Milano... per un anno intero ho spazzato il palcoscenico ed ho aiutato le attrici a vestirsi. Ero incaricata di badare alle lampade, ma cogli occhi seguivo quelle che recitavano... Ero tutta irriggidimento e volontà. Quando ricordavo te, mi sembrava che un pugnale mi si rigirasse nel cuore... e mi si moltiplicavan le forze e la fermezza della decisione. Recitai anch’io. Cominciavo a vìncere... Sentivo come dietro di me s’accendevan sempre più gli sguardi degli uomini. Mi dicevo che un giorno il mio nome, la mia fama e il mio fascino ti tornerebbero a turbare i sensi. Cercavo la strada che mi portasse a te... Ma, quando l’ebbi trovata, mi venne da ridere... Mi vinse il disgusto. E, quando il tuo ricordo mi turba ancora (spezza la frase), giacché così vile come sei, mi turbavi i momenti più belli (abbattuta), quando compresi che per te, solo per te, ero tornata a Venezia, fui presa da un immenso disprezzo per me stessa.

Cellino (nel tremito della morte). — Alta... perchè una sì nera follia?

Alta (con calma di giudice). — Vieni qui. (Colla mano sulla spalla di lui): Qui. in questo quadro, puoi ammirar Titania del dramma shakespeariano... Oberon le aveva scagliata la maledizione che s’innamorasse del primo che trovasse sulle sua strada. (Sorridendo con amarezza e nervosità): E il primo in cui s’imbattè fu una testa d’asino. (Si volge verso di lui): Comprai il quadro pensando a me, a te... al nostro amore. (Resta qualche tempo soprappensiero): Ma poi s’è trovato quel nobile patrizio e valoroso soldato che, contro tutti, contro la famiglia, contro la legge, mi prese con sè, mi condusse a casa sua, mi dette il suo nome...

Cellino (in fretta, felice d’aver trovato come placarla). — Sì, sì, anch’io ne fui tanto contento... ne fui felice... quando lo seppi...

Alta (tagliente). — Sì, ma l’hai offeso... Ti sei vantato a tavola, da Mara, d’essere stato mio amante... Te ne sei vantato, giacché sei vanitoso e spaccone... Chi ti crederebbe tanto vile a sentirti parlare?

Cellino (terrorizzato ch’ella l’abbia risaputo, protestando). — Ero stordito dal vino... Non mi rendevo conto di quel che dicevo... (Si sente batter l’orologio di San Marco): Lasciami andare... lasciami andare una buona volta, Alta! (Quando s’accorge che la donna, sopra pensieri, non lo ascolta neppure, in un accesso di disperazione, si spoglia del farsetto e tenta buttarsi nel canale dalla finestra).

Alta (resta un momento sorpresa, poi torna in sè, apre degli occhi enormi, poi, con un grido che par le strappi l’anima): No, Cellino!... (Corre come forsennata per trattenerlo): Che vuoi, che vuoi fare?