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Del 1688 è la prima traduzione integrale della Bibbia, che, dal nome del principe Scerban Basarab che la fece stampare, prende il titolo di «Biblia lui Serban». Codesta traduzione rappresenta uno dei più importanti documenti letterarii dell’antica letteratura romena che ha spesso il sapore delle nostre migliori scritture del trecento ed anche oggi è forse la migliore dal punto di vista artistico che possegga la Romania.

Durante il periodo di massimo fiore della civiltà rumena che corrisponde al regno di Costantin Brâncoveanu (1688-1714) avviene, soprattutto per opera del metropolita Antin Ivireanu che fu uno degli ecclesiastici più colti che abbia avuto non solo la Romania, ma ben possiamo affermare l’intero ortodossismo, la completa sostituzione della lingua romena a quella paleoslava divenuta ormai inintellegibile al clero anche più colto. Di lui abbiamo una serie di didahii (prediche) ispirate a sentimenti altissimi e scritte con eleganza di stile e gusto artistico non comune per quell’epoca, e innumerevoli traduzioni di libri liturgici.

Verso quest’epoca si tradussero anche, sempre da testi bizantini o slavi (serbi per la maggior parte) parecchie opere profane d’argomento fantastico o leggendario, quali per esempio, l’Alexandria o «Romanzo di Alessandro Magno», il Războiul Troadei o «Romanzo di Troia», il Varlaam și Iosafat, il Sindipa o «Romanzo dei Sette Savii», le favole di Esopo o Isop ed una quantità di leggende apocrife sulla «Discesa della Madre di Dio all’Inferno» (qualcosa di molto simile alle «Visioni» medievali del nostro Occidente) il «Combattimento di San Sisin col Diavolo», l’«Apocalissi di San Paolo», un ciclo di leggende su Adamo ed Eva, la «Leggenda dell’albero della Croce» oltre a moltissime descrizioni del viaggio delle anime attraverso le ventiquattro regioni dell’oltretomba (Vămile văzduhului), sull’«Anticristo» e sul «Giudizio Universale», divenute oggi popolari, che costituiscono quella particolar letteratura ad uso del popolo e soprattutto dei contadini che potrebbe chiamarsi la letteratura delle sporte e dei muriccioli e che da noi è rappresentata dai «Reali di Francia», e dal «Guerino il Meschino», dalle «Avventure di Bertoldo» e da altri libercoli non propriamente d’origine popolare, anzi sempre d’origine colta, ma ereditati o adottati dal popolo quando le classi colte li ripudiarono.