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II


Dall’articolo-programma della «Dacia Letteraria»:

Il nostro fine è che i Rumeni abbiano una lingua e una letteratura comune a tutte le provincie del Regno.

Il desiderio d’imitare altri popoli è divenuto in Rumania una mania pericolosa perchè uccide in ciascuno di noi lo spirito nazionale. Questa mania è perniciosa soprattutto in letteratura. Escono ogni giorno dai torchi libri scritti in rumeno. Che pro, se non son che traduzioni — e neppur buone — da lingue straniere? Noi combatteremo con tutte le nostre forze codesta mania dannosa al gusto dell’originalità: la virtù più preziosa di una letteratura. La storia nostra vanta abbastanza fatti eroici, le nostre belle contrade sono abbastanza estese e i nostri usi abbastanza pittoreschi e poetici perchè anche da noi si possan trovare argomenti degni d’esser trattati letterariamente senz’avere bisogno perciò di prenderli a prestito dalle altre nazioni. Le traduzioni saranno rarissime nel nostro foglio. Ne riempiremo le colonne quasi esclusivamente di composizioni originali.

(Trad. di Ramiro Ortiz).


Dal punto di vista teorico i più attivi collaboratori del Kogalniceanu furono il Bălcescu e il Russo, il primo dei quali scrisse nella più pura lingua rumena che si fosse mai adoperata la sua «Istoria Românilor sub Mihai-Vodă Viteazul» (Storia dei Romeni sotto Michele il Bravo), l’altro un poemetto in versetti biblici intitolato «Cântarea României» (Cantico della Rumania), che gli fu ispirato dalle «Paroles d’un croyant» del Lamennais (1).

  1. E forse dalle ben note pagine del Mazzini intitolate: Ai giovani d’Italia: «La Patria è come la vita. La Patria è la vita del Popolo. «Dio ve la diede; gli uomini possono, tiranneggiando, impedirle per breve tempo ancora di sorgere; ma non possono far ch’essa non sorga libera, oppur diversa da quella ch’essa è. «Dio che, creandola, sorrise sovr’essa, le assegnò per confini le due più sublimi cose ch’Ei ponesse in Europa, simboli dell’eterna Forza e dell’eterno Moto, l’Alpi ed il Mare. Sia tre volte maledetto da voi e da quanti verranno dopo di voi qualunque presumesse di segnarle confini diversi. «Dalla cerchia immensa delle Alpi, simile alla colonna di vertebre che costituisce l’unità della forma umana, scende una catena mirabile di continue giogaie, che si stende sin dove ii mare la bagna e più oltre nella divelta Sicilia. «E il mare la recinge d’abbraccio amoroso ovunque l’Alpi non la ricingono: quel mare che i padri nostri chiamavano ”Mare nostro”. «E come gemme cadute dal suo diadema, stanno disseminate intorno ad essa, in quel Mare, Corsica, Sardegna, Sicilia, ed altre minori isole, dove natura di suolo e ossatura di monti e lingua e palpito d’anime parlan d’Italia.
    · · · · · · · · · · ·

    «Giovani d’Italia, sorgete!

    «Sorgete sui monti! Sorgete sul piano! Sorgete in ciascuna delle vostre città! Sorgete tutti e per ogni dove! Non vedete che il sorgere subito e uni-