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esce il manico del «iatagàn» (1) la sua bevanda refrigerante e i pezzetti rosei o giallastri del «rahat» (2), coperti da un lieve strato di polvere di zucchero.

Ed eccoci a «Luceafărul» (L’Astro). Veramente Luceafărul dovrebbe tradursi Espero, col nome cioè che l’«astro più caro a Venere» — per servirmi di un verso foscoliano — prende la sera, mentre al mattino si chiama, come in romeno, Lucifero. Ma Espero è di genere femminile, mentre «Luceafărul» di Eminescu è personificato in un bel giovine d’origine divina innamorato di una fanciulla mortale. Non potendo dir Lucifero ch’è la stella del mattino e non quella della sera e farebbe per di più pensare al famoso angelo ribelle scaraventato da Dio nell’Inferno, ho dovuto decidermi a tradurlo colla voce generica di Astro, che si prestava meglio al contenuto della poesia.

L’«Astro» dunque rappresenta l’epilogo amoroso di Eminescu, col quale il poeta prende commiato dall’amore terreno, per restare eternamente «immortale e freddo». «L’idea fondamentale di questo poemetto è che la vita dell’uomo volgare, le sue aspirazioni e passioni, non hanno alcuna importanza; che, al disopra di questo uomo, esiste un’intelligenza superiore che non si turba, considera con indifferenza ed anzi con una certa compassione le piccolezze di questa vita. Quanto più alto si libera, tanto più profondamente questa intelligenza disprezza il caleidoscopio delle apparenze mondane, e non si lascia turbare da tutto quanto rende felice od infelice il rimanente degli uomini mortali. Chi desidera, ha al suo piede la palla di piombo che lo tira in basso nel doloroso vortice della vita. A ben considerare, c’è in questa poesia, qualcosa della concezione buddistica della vita. A paragone di questo figlio del cielo, a paragone dell’Astro, a paragone di codeste intelligenze lucide e serene, noi non siamo che dei blocchi greggi di «materia», cui dei motivi ridicolmente minuscoli fan perdere il loro equilibrio instabile; mentre essi, sotto l’influsso di condizioni pù fortunate, s’elevano sempre più in alto, finché, giunti nelle regioni dove il nostro rumore più non le toc-

  1. Pugnale a lama ricurva.
  2. Conosciuto da noi col nome di lucumi, dolce orientale di una pasta consistente ed elastica fatta di farina e zucchero, cui si aggiungono talvolta mandorle, nocciole, pistacchi e vaniglia.