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Tu che col proprio sangue veramente
N’apristi il ciel, spogliasti il limbo, et poi
Sathan legasti misero, et dolente.
Tu che con tante braccia aperte à noi
Ancor ti mostri mansueto, e pio
Per darne eterno ben ne i regni tuoi,
Ascolta Padre l’humil priego mio,
Che supplice, et diuoto a te ne vegno,
A te che ti festi huom per far me Dio
. . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . .
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Fammi, Signor de la tua gratia degno,
Non mi punir secondo i falli miei,
Ch’hanno di remision passato il segno.
Pater, peccaui, miserere mei,
Infiamma il cor, lo spirto, et l’alma mia,
Et piacciati ch’io uenga, oue tu sei.
Tu che sei vita, ueritate, et via,
Fammi conoscer che quanto nel mondo
Di bene auro, per tua bontà sol fia.
Se felice sarò, ricco, et giocondo
Di stato, et di tesor, fa’ ch’in seruitio
Tuo possa vsarlo con timor profondo.
Solo è l’intento mio seruir ogn’hora
L’immensa maestà tua, Padre santo,
Chi serue à te tutta la vita honora,
. . . . . . . . . . . . . .
Et al fin uola al Ciel con festa, et canto.
Freddi versi, ma che, composti da uno straniero, non posson non far meraviglia. „Veramente questo capitolo” — esclama il Guazzo, — viene ad essaltar in Cielo, in Terra il suo autore, poi che è ripieno di spirito non meno diuino che Poetico, & m’imagino che questo (sic) Prencipe i suoi lunghi e pietosi pellegrinaggi gli habbiano acquistato questo grande honore presso à gli altri d’esser annouerato frà poeti Thoscani, la qual felicità appena si troua hoggidì in alcun Prencipe Italiano.” Il che è forse troppo; ma porge l’occasione a quel brav’uomo del Guazzo a dissertare, se „la Poesia sia conuenevole à Prencipi”, con relativo elenco di „Prencipi poeti” da Dionigi d’Alicarnasso a Carlo Magno, e a conchiudere, che si può „perdonare à Prencipi l’ignoranza della poesia”, purché rendano „il debito honore à poe-