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καὶ σ´ ἐνυμφεύθη· ἐγώ τὸ ἠξεύρω, πόσον ἐφρύαττον σιωπῶν καὶ ὑπακούων· διὰ μίαν τοιαύτην ἀρητὴν (ναι ἀρητὴ, καὶ ὐπὲρ ἄνθρωπονδύναμις ἦτον) ἐφαίνουμουν μεγαλόφρων ἐνταὐτῷ καὶ κατηφής· κάθε κα´ῆκόν μου μοὶ ἐφαίνετο πάντοτε δεινὸν, καὶ ἂν ἤμουν ἔνοχος καὶ μέχρι λογισμοῦ, τὸ ἠξεύρει ὁ οὐρανὸς, ὅστις βλέπει τὰ πάντα, καὶ τπὺσ πλέον ἐνδομύχους διαλογισμούς μας· ἔχυνα δάκρυα τὴν νύκτα· ἀλλὰ τί ὄφελος; ὄσον αὔξανεν ἡ λύπη εἰς τὸ στῆθός μου, τόσον καὶ τὸ κατ´ἐμο῀ῦ μῖσος εῖς τὴν ἀσπλάγγων καρδίαν τοῦ πατρός.
ΦΙΛΙΠΠΟΣ |
Oggi forse nessuno segnerebbe queste parole, che restan belle anche nell’inesatta traduzione; ma allora dovettero piacere soprattutto per quel contrasto fra la passione e il dovere, che fu uno dei capisaldi dell’estetica romantica. Ho riletto da poco le tragedie dell’Alfieri e ci ho trovato ben altro da ammirare: una verità di sentimenti e una profondità di analisi psicologica, che forse i contemporanei non ci videro, e pregi tali da farci desiderare con impazienza un commento estetico, che, prescindendo da qualsiasi preconcetto e mettendo da parte i paragoni, sempre odiosi, col teatro francese, ci metta finalmente in grado di apprezzar come si conviene l’arte di questo grande poeta, troppo severamente e sommariamente giudicata in Italia e fuori.
Un secondo segno lo troviamo alla scena IV dell’atto II, terribile e potentissima scena. Le battute di dialogo comprese nella pagina segnata sono le seguenti:
ΣΚΗΝΗ Ε´
ΦΙΛΙΠΠΟΣ, ΓΟΜΗΣΙΣ.
ΦΙΛΙΠΠΟΣ.
Ἥκουσες;
ΓΟΜΗΣΙΣ.
Ἤκουσα.
ΦΙΛΙΠΠΟΣ.
Εἶδες;
ΓΟΜΗΣΙΣ.
Εἶδα.