Pagina:Ortiz - Per la storia della cultura italiana in Rumania.djvu/341

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a quei tempi, sì dal punto di vista della fedeltà, che da quello dell’arte.

Quando infatti il Negruzzi ci parla di traduttori, che, „o per negligenza o per ignoranza, muniti del loro bravo dizionario, trasportan meccanicamente una per una le parole da una lingua in un’altra, senza darsi pensiero dello stile o farsi scrupolo d’usar ogni sorta d’idiotismi, manipolando un pasticcio ch’essi solo son buoni a digerire“; mette disgraziatamente il dito sulla piaga. Ben diversa era la traduzione di Aristia! Leggendola „noi siamo tratti a compiangere il povero Saul tanto sventurato sotto il suo manto di porpora; Saul frenetico, dal quale s’è allontanata la mano del Signore; ci commuove la giovinezza di Micol; ci rapisce l’amicizia di Gionata; amiamo la mansuetudine di David! “Quel favolista, non ricordo più quale, che affermò la traduzione stare all’originale come la luna al sole, può aver avuto ragione se ha inteso parlare di quei tali traduttori all’ingrosso, dei quali abbiamo parlato poco fa; torto marcio nel caso presente. „Se c’è qualcosa infatti in questa traduzione che possa far desiderare il poeta italiano piuttosto che il traduttore rumeno, ciò dipende”, secondo il Negruzzi, „unicamente dalla maggior dolcezza della lingua italiana (la lingua del Tasso dice lui) in confronto della sorella sua: la rumena, che, da circostanze storiche e politiche, si vide costretta ad inquinare il suo fondo latino con voci e costrutti d’origine diversa“.

Così pensa il Negruzzi e termina con delle parole, che sono una vera e propria professione di fede nel tentativo di Heliade (e di Aristia) di sostituir gradatamente le parole d’origine slava con altrettante italiane rumenizzate.

Conchiudendo, e fatta la debita tara alle lodi, è fuor d’ogni dubbio che la traduzione del Saul di Aristia fu, per quei tempi, un vero e proprio avvenimento letterario, tanto più che, a traduzioni eseguite con tanta diligenza ed ispirate a un così alto ideale artistico, non si era avvezzi davvero. Lo stesso Heliade, che passava allora per il più gran conoscitore della lingua e della letteratura italiana, abborracciava un pochino, e, non di rado, fraintendeva addririttura il suo testo. Gli altri non facevan di meglio: imitavano e localizzavano, piuttosto che tradurre, e, spesso, non citavan neppure l’autore, dal quale prendevan le mosse. Ciò non per mala fede o perchè credessero di plagiare,