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100 parte prima

parte non biasciata la pestano in un mortaio fatto sempre di yuchan (giúccián), un albero di cui vi parlerò. Il tutto lo passano in un pilone fatto di un tronco solo dello stesso albero, e poi vi mescolano acqua, da fare due e tre barili di aloja per volta.

Dopo un 12 ore l’aloja è fatta, ed ha un sapore agretto e dolce, e un colore giallognolo. Quel frizzante la fa appetitosissima. Io la preferisco a qualunque bibita, compreso il vino. Prendendone in quantità inebria, ma è una sbornia che passa presto e non fa vomitare. Almeno così ho visto negli altri.

L’epoca della maturità dell’algarroba corrisponde a quella del vinal, che è meno buono, ma che serve per l’aloja. Viene dopo il chañar che dà una frutta dolciastra, rotonda, piccoletta, gialla, noccioluta, che si mangia cruda e che anche si cuoce e se ne fa un siroppo, buono al palato e medicinale, dicono quelli del campo, per la tosse e per l’asma. Il chañar finchè giovane, ha le foglie e il tronco, quasi, come il tamarindo, le rame poi, paiono di eucalitto. Poco dopo l’algarroba viene il mistol, che è il nostro giuggolo o zizzolo, ma un po’ differente del suo frutto, mescolato con farina di algarroba, si fa patái, e si conserva anche in cuoi fortemente pigiato. Contemporaneamente a queste frutte vengono, chi prima e chi dopo, tutte le altre, che nel Ciacco, dove più caldo, maturano in ottobre e dicembre (mesi di primavera e di estate), e più al sud, verso Tucuman, dal novembre al febbraio.

Col tempo che fanno durare alcune di queste frutte conservandole, la stagione pomifera, specialmente se abbondante, dura così da quattro a cinque mesi: ed è il carnevale degli Indiani.

Questi per conservare l’algarroba fanno dei capannini che pongono sopra quattro trampoli, sicchè non soffrano mancanza di ventilazione, ed anche per liberarla dalle formiche e da altri insetti. È bello vedere quei cupolini che si elevano al disopra dei toldi a imitazione dei nostri campanili. Ciascuna tolderia si compiace di ostentarne più delle altre. Nella stessa