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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/104

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Ogn’un mi biasma, e dice villania,
     Fra me pian pian me ne lamento, e doglio.
     Verso il timone allhor Libi s’ invia,
     E dice à gli altri, io questa cura toglio.
     Par ben, che senza lui sforzato sia
     Questo legno à ferir’ in qualche scoglio,
     Par ben, che vaglia ei sol per tutti nui,
     S’ogni speranza habbiam fondata in lui.

Così sopra di se prese la cura
     Di condurre il navilio in quella parte,
     Dove pensavan di goder sicura
     La nobil preda, e Nasso andò da parte.
     Finge il fanciullo allhor d’haver paura,
     Piangendo con bel modo, e con grand’arte,
     Guardò per tutto il mare, et in lor fisse
     Le rugiadose luci, e così disse.

Ó naviganti, dove andate adesso ?
     Dove volete voi condurre il legno ?
     Non è questo il camino à me promesso,
     Non è questa la via, che và al mio regno.
     C’ honor vi fia, s’un timido, e dimesso
     Fanciullo senza forza, e senza ingegno
     Voi giovani ingannate? che s’un solo
     Vincete, essendo voi sì grosso stuolo?

Questo dicea con così caldo affetto
     Bacco (che Bacco era il predato Dio)
     C’havria mosso à pietà Megera, e Aletto,
     E il Re di Stige, e de l’eterno oblio.
     E à me fe in modo intenerire il petto,
     Che fui sforzato à lagrimare anch’ io.
     Ride la turba iniqua, empia, e perversa
     Del pianto, che ’l mio viso stilla, e versa.

Il nostro legno havea contrario il vento
     Per voler gire al destinato loco,
     E senza vela con grand’ira, e stento.
     Co i remi andava via per qualche poco.
     Hor per quel sommo Dio fo giuramento,
     Che dal ciel lancia il formidabil foco,
     Di voler dirti d’una cosa il vero,
     Ch’eccede il creder d’ogni human pensiero.

Eccede il creder sì del basso mondo,
     Ch’ à raccontarlo la mia lingua pave.
     In mezzo al mar più alto, e più profondo,
     Non altramente si fermò la nave,
     Che se toccasse col suo fondo il fondo
     Del mare, e fosse ben di merci grave,
     Fan co i remi per moverla ogni prova
     Quei marinari esperti, e nulla giova.

Non lor giovando i remi, i naviganti
     Alzan la vela, indi si snoda, e tira.
     Pongon l’antenna à squadra poi dinanti
     À quella parte, donde il vento spira;
     Ma non movon Sirocchi, ne Levanti,
     Se ben l’antenna à lor si volta, e gira,
     Quel legno, ma sta saldo al loro orgoglio,
     Come farebbe in mezzo al mar un scoglio.

Par, ch’al fondo del mar congiunto stia
     Quell’immobil navilio con un chiodo.
     L’hedera sacra al gran signor di Dia
     Serpì (come volle ei) quel legno in modo,
     Che tutti i remi in un legati havia
     Con un tenace, e indissolubil nodo,
     L’arbor, l’antenna, indi la vela asconde
     L’herba, e l’orna di corimbi, e fronde.

Tutto il legno afferrar l’hedere intorno,
     Come à l’offeso Dio di Thebe piacque,
     E di pampino, e d’uva il capo adorno,
     Che non so come in quel navilio nacque.
     Fa con un’hasta à tutti oltraggio, e scorno,
     E ne sforza à saltar molti ne l’acque:
     C’havea d’ intorno à lui diverse fere
     Orsi, Tigri, Leon, Pardi, e Pantere.

Medone il primo fù, che cominciasse
     À perder il suo primo aspetto vero,
     E che la spina, e gli homeri incurvasse,
     E che solcasse il mar veloce, e nero.
     Ditti, perch’un Leon nol divorasse,
     Per una corda andò presto, e leggiero,
     Fin che giunse à l’antenna in sù la cima,
     Ma non vi potè star come fea prima.