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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/114

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Marte tanto v’havea, quanto il facea
     Virile, e vigoroso ne l’aspetto:
     Le gratie havea da la Ciprigna Dea,
     Che danno à gli occhi altrui maggior diletto;
     Tanto, ch’ogni mortal, come il vedea,
     Dicea non si trovar più grato obbietto;
     E le donne il voleano tutte quante
     Chi per consorte haver, chi per amante.

E s’ei tutti eccedea di quella etade
     I giovani di gratia, e di bellezza,
     Tisbe havea sì dolce aere, e tal beltade,
     Tal virtù, tal valor, tal gentilezza,
     Che le donne, che allhora eran più rade,
     Passo d’ogni beltà, d’ogni vaghezza;
     Et ogni huom’ogni etate, e d’ogni sorte
     La volea per amante, ò per consorte.

Ma quei che da principio erano usati
     Vedersi spesso insieme, e trastullarsi,
     (Però che soglion quei d’un tempo nati
     Per la medesma età molto confarsi)
     S’erano ogni di più talmente amati,
     Che non poteano ad altro amor voltarsi;
     E facean poca stima ambi di mille
     Ch’ardean de l’amorose lor faville.

Era l’amor cresciuto à poco à poco,
     Secondo erano in lor cresciuti gli anni;
     E dove prima era trastullo, e gioco,
     Scherzi, corrucci, e fanciulleschi inganni,
     Quando fur giunti à quella età di foco
     Dove comincian gli amorosi affanni,
     Che l’alma nostra ha sì leggiadro il manto,
     E che la donna, e l’huom s’amano tanto;

Era tanto l’amor, tanto il desire,
     Tanta la fiamma, onde ciascun ardea,
     Che l’uno, e l’altro si vedea morire,
     Se pietoso Himeneo non gli giungea;
     E tanto era maggior d’ambi il martire,
     Quanto il voler de l’un l’altro scorgea:
     Ben ambo de le nozze eran contenti,
     Ma no’l soffriro i loro empi parenti.

Era fra i padri lor pochi anni avanti
     Nata una troppo cruda inimicitia;
     E quanto amore, e fè s’hebber gli amanti,
     Tanto regnò ne’ padri odio, e malitia.
     Gli huomini de la terra più prestanti
     Tentar pur di ridurgli in amicitia,
     E vi s’affaticar più volte assai,
     Ma non vi sepper via ritrovar mai.

Quei padri, che fra lor fur si infedeli,
     Vetaro à la fanciulla, e al giovinetto,
     À due sì belli amanti, e si fedeli,
     Che non dier luogo al desiato affetto
     Ahi padri irragionevoli, e crudeli,
     Perche togliete lor tanto diletto,
     S’ogn’un di loro il suo desio corregge
     Con la terrena, e la celeste legge?

Ó sfortunati padri, ove tendete,
     Qual ve gli fa destin tener disgiunti?
     Perche vetate quel, che non potete?
     Che gli animi saran sempre congiunti?
     Ahi che sarà di voi, se gli vedrete
     Per lo vostro rigor restar defunti?
     Ahi che co i vostri non sani consigli
     Procurate la morte à i vostri figli.

Vivea dunque secreto il lor amore:
     I cenni, i dolci sguardi solamente
     Assicuravan l’uno, e l’altro core,
     Di quanto fosse l’un de l’altro ardente.
     Ahi che non trova, e non discopre amore?
     À che non apre l’occhio, e non pon mente?
     Havea il muro comun quel pelo aperto,
     Ch’io dissi, e anchor nessun l’havea scoperto.

Voi prima accorti amanti discopriste
     Il vitio, e ’l pel ch’à la parete noce;
     Là, dove cauti poi la strada apriste
     À i dolci sguardi, à la pietosa voce:
     Dove le vostre lagrime fur viste,
     Cui stilla il chiuso foco che vi coce:
     Dove, perche troppo arde un chiuso foco,
     Trovaste strada, onde essalasse un poco.