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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/116

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L’innamorata figlia tanto l’ama,
     Ha sì il pensiero in lui fermo, et intento,
     Che non solo una volta il prega, e ’l chiama,
     Ma talhor quattro, e cinque in un momento,
     E poi quel, che da lui ricerca, e brama,
     E quel, c’ha detto cento volte, e cento,
     E mentre furo al loco à lor sì grato,
     Non havean quasi mai d’altro parlato.

Partonsi e questi, e quella, e ’l luogo aperto
     Ricopron pria con le medesme cose,
     Che pria, ch’ à gli occhi lor fosse scoperto,
     Tenner quelle fessure à tutti ascose.
     Ritornan poi, che ’l tempo è lor offerto,
     E se le vesti e oscure, e tenebrose.
     Non si ripon la notte, e l’agio n’hanno,
     Ne la donna, ne l’huom non se ne vanno.

Quando la notte poi l’oscura veste
     S’ammanta intorno, e le campagne adombra,
     E la maggior la sù luce celeste,
     Le tenebre à gli antipodi disgombra,
     E ’l bel manto di stelle il ciel si veste,
     Ogni pena d’amor gli amanti ingombra,
     Questa, e quel si rammarica, e si dole,
     Che tanto à rallegrarli indugi il Sole.

Chi potria dire ogni amorosa cura,
     Che travaglia la mente à questa, e à quello,
     A la donna non par d’esser sicura,
     Ch’egli (come detto ha) le dia l’anello.
     Conosce, ch’ al parlar poco si cura
     Di volerla levar dal patrio hostello,
     Che se l’amante tal pensier havesse,
     Ella seco n’andria dov’ei volesse.

N’ha ben talhor gittato qualche motto,
     Ma l’ha veduto star tutto sospeso,
     Anzi hà più volte il suo dir interrotto,
     Et ha mostrato non havere inteso.
     Teme, ch’egli in amor sagace, e dotto
     Non habbia contra lei quel laccio teso,
     Per isfogar le sue cupide voglie,
     Ma che non pensi già farla sua moglie.

Piange, e sospira, e se ne duol pian piano,
     Ne molto stà, che quel pensiero annulla,
     Ne può pensar, ch’ei sia tanto inhumano,
     Che cerchi d’ingannare una fanciulla.
     Pensa, se non la mena più lontano,
     E marito con lei non si trastulla,
     Che’l fa, perch’egli è saggio, e indugia alquanto,
     Perche crede placare il padre intanto.

Mentre pian pian la misera donzella
     Per non si fare udir ragiona, e piange,
     E questo, e quel pensier, che la flagella,
     La dubbia mente sua tormenta, et ange;
     De la luce del Sol lucida, e bella
     Si duol, che troppo tardi esca del Gange,
     Si leva, e guarda, e duolsi che Boote
     Volga più che mai pigre le sue rote.

E se la donna hor piange, et ha sospetto,
     Che non l’inganni l’huomo, et hor s’attrista,
     Che esca sì tardi il Sol de l’aureo letto
     A rallegrare il ciel de la sua vista;
     Non sente l’huom men travagliato il petto,
     E non ha men di lei la mente trista,
     Che men di lei si duol del maggior lume,
     Che tanto stia ne l’ociose piume.

Non ha però timor, ch’ella non l’ami,
     Ne che per suo piacer cerchi ingannarlo,
     E con finte lusinghe ordisca, e trami,
     Godersi seco un tempo, e poi lasciarlo.
     Ben vede quanto il matrimonio brami,
     Poi ch’ovunque ei s’invia, vuol seguitarlo,
     Vuol dare ogni contento à le sue voglie,
     Pur che prima, che ’l dia, la faccia moglie.

Tutto travaglia addolorato, e mesto
     Il suo letto innocente, ove si posa,
     Pensa con qual ragion, con qual protesto
     Poi che ’l padre non vuol, la farà sposa.
     Discorre, e solve hor quel periglio, hor questo,
     Ma preveder nessun puote ogni cosa.
     Una notte à un partito al fin s’attenne,
     Che per mal d’ambedue nel cor li venne.