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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/117

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Pensa, gita, che sia la notte oscura,
     A tor con l’ombra sua la luce à quelli,
     Che mentre à lor fu notte acerba, e dura,
     Videro i rai del Sol lucidi, e belli.
     Tornar di novo à le cortesi mura,
     Che permetton, che vegga, e che favelli,
     Et ordinar con lei, ch’à l’aer cieco
     Si debbia preparare à fuggir seco.

Che vuol condurla in una altra cittade,
     Dica il padre, che sà, vuol poi sposarla,
     Danari, gemme, et altre cose rade,
     Per qualche tempo ha ben da sostentarla.
     Intanto amici havrà di qualitade,
     Che potranno co i padri accommodarla,
     Ma ben conviene in questo usar tal froda,
     Ch’alcun di casa non la vegga, ò l’oda.

Passata che sarà la mezza notte,
     Che vien d’un’hora, ò due pensa d’uscire,
     Allhor, che per le case, e per le grotte
     Ogni huomo, ogni animal dassi à dormire.
     S’uscisser prima, ò poi, forse interrotte
     Sariano à lor le strade del fuggire,
     Potran per via più d’un ritrovar desto,
     Che van tardi à dormire, ò surgon presto.

E se prima esce Tisbe ne la strada,
     Non li par, che sia ben, ch’ ivi l’aspetti,
     Perche qualcun de la stessa contrada
     Non la vegga, e conosca, e non sospetti.
     Ma sarà ben, che da lei se ne vada
     Per questi, et altri infiniti rispetti
     Fuor de la terra, ad un fonte vicino,
     Dov’è il ricco sepolcro del Re Nino.

Quivi corrà del suo bramato amore
     Quel sì soave, e pretioso frutto,
     Per cui sì spesso afflitto havuto ha il core,
     E per cui così raro il volto asciutto.
     N’andran poi come venga il primo albore
     Poco lontan, ch’ei sà il camin per tutto,
     Dove havran da un suo amico in un villaggio
     Cavalli, et altre cose da viaggio.

Questo sol dubio al fin restato gli era,
     Come à quell’hora aprir potran le porte,
     Che i padri lor le chiudon, come è sera,
     Sì per l’ inimicitia temon forte,
     E per torre à lor servi ogni maniera
     Di poter lor tramar vergogna, ò morte,
     Se in letto son, pria che sia spento il lume,
     Voglion le chiavi haver sotto le piume.

Conchiude al fin, che sia buono argomento
     Di far le chiavi contrafar, che danno
     À l’uno, e l’altro amante impedimento,
     Che quando piace à lor non se ne vanno.
     L’Aurora à pena havea d’oro, e d’argento
     Scoperto al mondo il suo lucido panno,
     Ch’ambi del letto si levaro, e furo
     Quasi ad un tempo al desiato muro.

È ver, che sempre l’huom fu più per tempo
     Non che prima di lei lasciasse il letto,
     Ma v’andò sempre un gran spatio di tempo,
     Pria, ch’ella à modo suo fosse in assetto.
     S’affretta, e teme di non gire à tempo,
     E grida con la fante, e co’l valletto,
     E chiama pigro lui, lei poco accorta
     Per questa, e quella cosa, che non porta.

Come à lei parve essere in parte ornata,
     Ma non à modo suo per la gran fretta,
     Ritorna allegra, e scopre il muro, e guata,
     E trova l’amor suo, ch’ivi l’aspetta.
     Ode l’orecchia allhor la voce grata,
     E l’occhio scopre il bel, che gli diletta,
     Ma non vi fanno già quel gran soggiorno,
     Che fer più d’una volta, e più d’ un giorno.

Perche l’huom, come pria, non si distende
     À dar de l’amor suo questo, e quel segno;
     Ma le discopre, e fa, ch’à pieno intende
     Il poco fortunato suo disegno,
     Che s’altro non gliel viete, e no’l contende,
     Vuol viver qualche di fuor di quel regno,
     Pur ch’ella d’accettar degni il partito
     Di fuggir seco, e farlo suo marito.