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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/136

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Ó dirò come Smilace amò Croco,
     Ma non potè goder l’amato fianco,
     Che nel contender l’amoroso gioco,
     Divenner fior, l’un giallo, e l’altro bianco.
     Ó narrerò di quello infame loco,
     Dove fa un fonte l’huom venir da manco,
     Ch’alquanto trasformandosi di vista,
     Perde parte d’un membro, et un n’acquista.

Volea proporre anchor molte novelle,
     La proveduta giovane Minea,
     Ma le disser d’accordo le sorelle,
     Che l’historia del fonte à lor piacea.
     Mov’ella allhor le note ornate, e belle.
     Nacque già di Mercurio, e Citherea
     Un figlio, e ’l latte da le Naiade hebbe
     Là dove in Ida fu nutrito, e crebbe.

Il nobil viso suo leggiadro, e vago
     Hebbe da padri un’ aere si felice,
     Che in lui scorgeasi l’una, e l’altra imago
     Del genitore, e de la genitrice.
     Ei di veder varij paesi vago
     Lasciò la patria sua, l’idea pendice,
     E visto havea quando dal monte Alunno
     Partissi, il quintodecimo autunno.

Il desio di veder gl’ ignoti fiumi,
     Con l’ignote città, l’ ignote genti,
     Varie d’aspetto, e varie di costumi
     Varie di region, varie d’accenti,
     Se ben diversi, e strani, hispidi dumi
     Spesso passò con rapidi torrenti,
     Fea, ch’ogni gran fatica et ardua, e grave,
     Li parea dolce, facile, e soave.

Ogni loco di Licia ha già trascorso,
     E poi di Licia in Caria ha posto il piede,
     La dove pargli raffrenare il corso
     Vicino à un fonte cristallin, che vede,
     Che subito l’invita à darvi un sorso
     L’humor, che in limpidezza ogni altro eccede,
     Che lascia (in modo egli è purgato, e mondo)
     Penetrare ogni vista insino al fondo.

Spinoso giunco, over canna palustre
     Non fa ne l’orlo altrui noia, ò riparo,
     Ma terra herbosa, e soda il fa si illustre,
     Ch’avanza ogni artificio human più raro.
     Hor come giunge il giovane trilustre
     À cosi nobil fonte, e cosi chiaro,
     Vuol ristorar di quello humore il volto,
     Che gli ha ’l Sole, e ’l camin co’l sudor tolto.

Gusta con gran piacer quel chiuso fonte
     Preso il garzon dal caldo, e da la sete,
     Le man si lava, e la sudata fronte,
     E poi và sotto l’ombra d’un abete,
     Che fin, che ’l Sol non cala alquanto il monte,
     Vuol dar le lasse membra à la quiete:
     Ma siede à pena in su l’herbosa sponda,
     Ch’una Ninfa lo scorge di quell’onda.

À questa bella Ninfa mai non piacque
     L’andare à caccia, al seguitar Diana,
     Come l’altre facean, ma si compiacque
     Di non s’allontanar da la fontana.
     Le disser le sorelle homai quest’acque
     Lascia Salmace alquanto, e t’allontana,
     Non star ne l’otio, in si nefando vitio,
     Ma datti à più lodevole essercitio.

Prendi Salmace l’arco, e la faretra,
     E con noi vienne in più lontana selva,
     Come fan l’altre, e da Diana impetra
     Di ferir seco ogni silvestre belva.
     Ma da lor sempre Salmace s’arretra,
     O s’attuffa nel fonte, ò si rinselva
     Fra gli alberi suoi proprij, e si compiace
     Godersi ’l suo paese, e starsi in pace.

Senza cura tener de le sorelle
     Lieta si stà à goder le patrie sponde.
     Lava talhor le membra ignude, e belle
     Nel dolce fonte suo, ne le chiar’ onde.
     Talhor siede su l’herbe tenerelle,
     E stassi à pettinar le chiome bionde.
     Guarda talhor ne l’acque, e si consiglia,
     Come s’acconci, e al suo voler s’appiglia.