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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/138

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Il dolce soro, e mal’ accorto figlio
     Prova sciorsi da lei, ma dolcemente,
     Le parla poi con vergognoso ciglio,
     Con sì timido dir, ch’à pena il sente.
     À più grato camin tosto m’appiglio,
     (Ch’io mi sciorrò per forza finalmente)
     Se tu m’annoi, e mi molesti tanto,
     E da te non ti sciogli, e stai da canto.

Perch’ei non se ne vada, e non la lassi,
     (Come questo parlar la Ninfa intese)
     Da lui si spicca, e ritirata stassi,
     Seco favella poi tutta cortese.
     Altrove non voltar giovane i passi,
     Godi sicuro, e sol questo paese.
     Già cedo al solitario tuo desio.
     E perche ci stia tu, me ne vad’io.

Così dicendo subito si parte,
     E fra certi arbuscelli si nasconde,
     E china le ginocchia, e con grand’arte
     Fura il bel viso suo fra fronde, e fronde.
     Ei si diporta in questa, e in quella parte,
     E poi torna à goder le limpide onde.
     L’invita il fonte, e ’l caldo gli rimembra,
     Ch’ ivi è ben rifrescar l’ ignude membra.

E però, ch’osservato esser non crede,
     Fa saggio pria del suo temperamento,
     E poi discalza l’uno, e l’altro piede,
     E spoglia il ricco, e molle vestimento.
     Come la bella Ninfa ignudo il vede,
     Infiamma di tal foco il primo intento,
     Che gli occhi suoi lampeggian, come suole
     Lampeggiar vetro, ove percuote il Sole.

E si può à pena ritenere, (e fullo
     Per far) di correr tosto ad abbracciarlo,
     Ma stà, che (se ne l’acqua entra il fanciullo)
     Con più vantaggio suo potrà poi farlo,
     Che quel, ch’ella d’amor brama trastullo,
     Quivi otterrà, ch’ei non potrà negarlo,
     Che di quella fontana essendo Ninfa
     Ha tutto il suo potere in quella linfa.

Entra ei ne l’acque cristalline, e chiare,
     Dove à la Ninfa il fonte non contende,
     Che possa à quel bel corpo penetrare
     Con l’occhio, che sì cupido v’intende.
     Come in un vetro una rosa traspare,
     Che chiusa à gli occhi altrui di fuor risplende,
     Tal chiuso ei traspare nel picciol fiume
     Al lampeggiante de la Ninfa lume.

Alza la voce allhor la Ninfa lieta.
     Habbiam sicuro già vinto il partito.
     Nessuna cosa più mi turba, e vieta,
     Ch’ io non t’ abbracci, e faccia mio marito.
     Le gioie, il sottil lin, la ricca seta,
     Ogni ornamento suo getta su’l lito,
     E corre ignuda, e cupida, in gran fretta
     Nel fortunato suo fonte si getta.

La dove giunta subito l’abbraccia,
     E dove più l’aggrada, il palpa, e tocca,
     Li tien poi con le man ferma la faccia,
     E se bene ei no’l soffre, il bacia in bocca.
     Con le gambe, e le man tutto l’allaccia,
     Contra la mente sua semplice, e sciocca.
     Che ben è sciocco, e semplice colui,
     Che se di tanto ben priva, et altrui.

E gli si scuote, e la discaccia, e spinge,
     Irato al fin, la prende per le chiome.
     Come l’hedera intorno il tronco cinge,
     E con più rami s’avviticchia, e come
     Quel pesce il pescatore afferra, e stringe,
     Che da molti suoi piè Polipo ha nome.
     Così lega ella il giovane con ambe
     Le braccia, e con le mani, e con le gambe.

Lo stringe ella, ei si scuote, e ’l crin le tira,
     Cadon su’l lito, et ei perche no’l goda,
     Si torce, e sforza, tal l’augel, che mira
     Fiso nel Sol, talhor la serpe annoda,
     Che mentre l’ha ne i piedi, e al cielo aspira,
     La serpe il lega tutto con la coda,
     E l’ali spatiose in modo afferra,
     Che cadon spesso ambi in un gruppo in terra.