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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/139

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Ei stà nel suo proposito, e contende,
     E nega à quella il desiato bene,
     Ma à poco à poco ella in tal modo il prende,
     Che come era il desio, se’l gode, e tiene.
     E mentre ingorda al suo contento intende,
     Di grado in grado in tal dolcezza viene,
     Ch’alza i travolti lumi al cielo, e move
     Un parlar pien d’affanno, e rotto à Giove.

Fa sommo Dio del gran piacer, ch’io sento
     Tutti i miei sensi eternamente ricchi,
     E che ’l ben, che mi dà si gran contento,
     Mai da me non si parta, e non si spicchi.
     Et ecco, non so come, in un momento
     Par ch’un corpo con l’altro in un s’appicchi.
     Le cosce si fan due, che quattro foro,
     Cosi le braccia, e l’ altre membra loro.

Già la schena di lei di pancia ha forma,
     Che la pancia di pria ne l’huomo è entrata.
     Già d’un corpo comun l’un l’altro informa,
     E fanno una figura raddoppiata.
     Il doppio collo, e viso, un Sol si forma,
     E fassi un huom d’effigie effeminata.
     Son due, ma non però fanno una coppia,
     Ma in un corpo comun la forma è doppia.

Cosi ramo con ramo anchor s’innesta,
     E poi, che ben s’è unito, e alquanto alzato,
     Così conforme l’uno à l’altro resta,
     Che par, che ’l ramo sia nel tronco nato.
     Così la donna, e l’huom fanno una testa,
     Ma non è alcun di lor, quel, ch’è già stato.
     Non è donna, ne d’huom, ma resta tale,
     Ch’è donna, et huom, ne l’un ne l’altro vale.

Come il figliuol di Mercurio s’accorge,
     Ch’egli è fatto mez’huom, d’un huomo intero,
     E che gli ha l’acqua chiara, ch’ivi sorge,
     Effeminato il suo volto primiero,
     Queste preghiere à suoi parenti porge,
     Ma non co’l suo parlar virile, e vero.
     Con voce dubbia al ciel le luci fisse,
     E questi prieghi Hermafrodito disse.

Pietosa madre mia, genitor pio,
     Fare al vostro figliuol gratia vi piaccia,
     Ch’ogni huom, che in questa fonte entra, com’ io
     Fra la donna, e fra l’huom dubbio si faccia.
     Allhor la madre Dea col padre Dio
     Fan, che in quel fonte l’huom cangi la faccia.
     Quell’acque fan di tanto vitio sparte,
     Ch’ogni huomo Hermafrodito se ne parte.

Già novellato havendo ogni sorella,
     Schernendo Bacco à l’opra s’attendea,
     Mentre per la città la pompa bella
     Da tutto quanto il popol si facea.
     E già per tutto il ciel più d’una stella
     Levata à la sua luce il velo havea,
     Si vedea l’aria dubbia d’ogn’intorno,
     E non si potea dir notte, ne giorno.

Quando più d’una tromba, e d’un tamburo
     Par, che la casa à l’improviso introni,
     E renda sordo l’aere mezzo oscuro,
     Senza che veda alcun chi sia, che suoni.
     Il cavo rame, il ferro unito, e duro
     Fan tintinnare il ciel di vari suoni.
     Ingombran dopo l’aere oltre à romori
     Mirra, ambra, e croco, et altri varij odori.

Ma quello (onde maggior ciascun haver de
     Maraviglia) è il veder, ch’ogni lor vesta
     Il suo primo color trasforma, e perde,
     E d’hedera, e di fronde vien contesta.
     Vede Alcitoe, che ’l lin diventa verde,
     E che pampino è ’l fil, che ’l dito appresta.
     E come al grave fuso i lumi intende,
     Scorge, ch’un raspo d’una è quel, che pende.

L’altra, ch’un cedro nel collar pingea,
     Riguarda, e crede haver errato anch’ella,
     Che l’uva in quella vece vi scorgea;
     Tolse tosto il coltel de la cistella,
     Che quella seta via levar volea,
     Che veniva à guastar l’opra sua bella.
     E trova, come il picciol ferro stringe,
     C’ha in man la falce da potar le vigne.